Come riporto nel titolo “la biodinamica come stile di vita” potrebbe sembrare una frase già fatta. Niente di più sbagliato.
Qua, in questa cascina del Monferrato Casalese, acquistata nel 1921 dal nonno di Francesco Brezza -attuale timoniere- si conduce la vera agricoltura biodinamica.
Fu il nonno a piantare le prime viti a cavallo della seconda guerra mondiale, ma fu suo padre negli anni ’60, ad incontrare la biodinamica, grazie al professor Francesco Garofalo di Torino, e da quel momento tutto cambiò. Iniziò a spiantare alcuni vigneti per piantare grano, orzo, erba medica; costruì una stalla alla fine degli anni ’60 con circa 25-30 animali, per arrivare nel 1973 ad avere il ciclo completo della biodinamica.
La biodinamica sembra a tutti che sia chissà cosa, è la storia e la filosofia che ci sta dietro a farla diventare complicata, ma alla fine dei conti il risultato è avere un’azienda autosufficiente”.
Proprio così: la biodinamica intesa non solo come monocoltura, ma come sistema di lavorazione del terreno, non di trasformazione. È stato l’uomo, che con l’evoluzione del tempo, ha raccolto un prodotto ed ha dettato una regola di come trattarlo, ma tutto ciò è avvenuto successivamente. L’organismo aziendale deve vivere da solo, dove si produce e si consuma. Non è altro che l’agricoltura praticata 100 anni fa con i mezzi moderni.
Sono arrivato ad avere circa 50 ettari di terra, di cui 10-11 vitati, il resto a rotazione, grano, orzo, erba medica, fave. Tutto questo per rinvigorire i terreni, perchè con il sistema della biodinamica non si possono tenere le piante per 100 anni, si deve cambiare la coltura sullo stesso terreno, lo coltivi, lo tieni soffice, ma la pianta lo stanca. Quando tolgo il vigneto non lo ripianto l’anno dopo, come succede quasi dappertutto, attendo 5-6-7 anni, e nel frattempo, a rotazione, semino cereali, erba medica, grano, di nuovo erba medica. Questo non solo per dare più vigore al terreno, ma per togliere le erbe infestanti quali gramigna, miglietta ecc.. e per rendere il terreno nuovamente fertile.
Ho la necessità di togliere le radici che stanno in profondità, facendole seccare, e per questo non basta un anno. Non voglio intervenire con la chimica per farlo, quindi attendo. Questo sistema altresì, mi permette di dare cibo alle mucche, le quali consumano quello che produco, mi rendono letame, il quale uso per concimare i vigneti, i campi.
Si consuma quello che produco in sostanza organica per ricominciare di nuovo il ciclo”.
Il primo anno di imbottigliamento fu nel 1958, ma a Francesco non interessa dire se sia stato il primo, il secondo, l’ultimo, oppure il decimo a farlo. Non c’è nessuna gara -prosegue- inizi, provi, sperimenti, correggi gli errori. È stato un matrimonio con il proprio territorio, si cerca di ricavare il massimo, ma soprattutto viene mantenuto e rispettato per le generazioni future.

Quello che fa funzionare tutto il cerchio in una realtà di questo tipo è l’uomo. 

Provo a chiedergli se ha mai partecipato a qualche fiera di settore, la sua risposta mi ha fatto capire quanta differenza ci sia realmente tra un agricoltore ed un vignaiolo: “come faccio a muovermi, devo stare dietro alle mucche. Sono io che per 365 giorni l’anno da mangiare alle stesse, per tre volte al giorno, non permetterei mai a nessun altro di farlo, in quanto squilibrerebbe il sistema. Quando una mucca deve partorire dormo su un ballino di fieno per 4-5 giorni, se perdo una mucca ed un vitello, perdo tutta l’annata, io ci vivo su queste cose qua. L’agricoltore è questo. Tutti si sono concentrati sul reddito maggiore che è il vino, ma non è più agricoltura. Il veterinario sostiene che abbia un altro veterinario oltre a lui -sorride- perché dice non sia possibile che negli ultimi cinque anni non abbia fatto nessuna ricetta.
La mucca sta bene se mangia bene, se non è contaminata da animali presi dall’esterno, se non prende medicine o antibiotici. Questa è la mia filosofia. La stalla è il cuore pulsante della mia azienda biodinamica.

Per avere l’autosufficienza per tutti i miei animali devo seminare un 20-30% in più rispetto al fabbisogno, perché un’annata è asciutta, in un’altra posso subire la grandine. Quest’anno, ad esempio, ho tanto fieno, l’anno scorso ho fatto molto orzo e molto grano, li vendo fuori sul mercato, con i ricavi mi pago le spese del mantenimento della stalla, ed è li che esce fuori la forza economica dell’azienda. Se ne ho in più lo vendo, se non ne ho trasformo il fieno in carne dove c’è un valore aggiunto.
Le spese più grandi provengono dal gasolio e dai mezzi agricoli, e ovviamente la mano d’opera, stop”.

Il vino, come avrete potuto intuire, non è la coltura principale, ma rappresenta solo il 20% di Cascina Migliavacca; è l’ultimo raccolto dell’anno, dopo il fieno, l’orzo, il grano e le fave.
Come detto in precedenza sono 50 ettari in un unico blocco attorno alla fattoria, un lavoro alle spalle di tre generazioni, difficile oggi costruire un impianto del genere.
I terreni sono misti argilla e calcare. Un terreno molto plastico, come ci fa notare Francesco camminando nelle vigne, prendendolo in mano e facendone una pallina tipo pongo, d’altronde in queste colline è nato il cemento, non potrebbe essere altrimenti, Casale è stata famosa a livello mondiale proprio per questo materiale. Il problema siccità in questa zona non esiste, in quanto l’argilla riesce a trattenere acqua, per renderla alla pianta in condizioni difficoltose.

Si producono all’incirca 20000 bottiglie l’anno, una parte di uve barbera viene destinata per la produzione di succo d’uva, strada già intrapresa dal padre mezzo secolo fa con un’azienda tedesca. Infine parte del vino viene venduto sfuso.
Tre vini prodotti: grignolino, barbera e freisa. Vini con un’anima contadina, rustici ma non ruvidi, freschi e saporiti, pieni di vigore e di succo. Vini fatti per la tavola, per i cibi piemontesi più grassi, per i bolliti, ma anche per accalorarsi ulteriormente davanti ad un caminetto, con la giusta compagnia.

Francesco Brezza, un contadino vero.