Era l’Agosto del 2018 quando varcai per la prima volta la soglia di questo ristorante. Si percepì fin da subito quel profumo nell’aria di accoglienza e leggerezza.

Eravamo in nove.

Venimmo accompagnati in una sala/salotto adiacente alle principali. Tutta per noi, con quadri e divani, sembrava davvero di stare a casa di amici. Ci facemmo tarda notte a bere con Gianluca e disquisire su varie tematiche.

È proprio da questo punto che vorrei partire.

DaGorini è uno dei luoghi più accoglienti che abbia mai visitato.
La potremmo davvero definire una casa/ristorante, dove, oltre al salotto, appunto, è stato creato uno spazio giochi per bambini, il quale permette alle famiglie di cenare senza dover fare gincane attorno ai tavoli per recuperare i figli maratoneti.

È proprio l’accoglienza a rendere unico questo luogo. La stessa accoglienza che permette di lasciare all’esterno qualsiasi tipo di problema e catapultarti in maniera rilassata -anche se solo per poche ore- su questa realtà romagnola. A dire il vero quando si esce da certi ristoranti, i pensieri, le sensazioni, le emozioni provate, almeno per me, lasciano una scia molto prolungata.

Andare a mangiare a San Piero in Bagno significa resettare tutto quello fin’ora provato.
Andare a mangiare a San Piero in Bagno significa mettere un punto ed andare a capo.
Andare a mangiare a San Piero in Bagno significa entrare in una dimensione diversa, personale, dove accoglienza, bellezza, sostanza, semplicità, ancestralità di sapori, trovano un intreccio naturale, senza forzature, senza finzioni.

Alcune influenze del maestro Lopriore possono essere riscontrate su alcuni piatti, ma la forza di Gianluca è la propria personalità riproposta sotto forma di idea ed esecuzione.
Non ci sono scimmiottamenti, le mode rimangono sull’uscio del ristorante, la creatività non è mai fine a se stessa, ci si spinge in un concetto di cucina dai sapori ancestrali, profondi, decisi, dove tutto è in movimento, tutto ha un’evoluzione, anche in uno stesso piatto. Allora può capitare di imbattersi nelle bruciature e nelle affumicature magistrali di vegetali, di pesci, di carni; o nelle deviazioni acido/amare, le quali fanno impazzire le sinapsi. Non c’è mai niente di volgare, di esasperato, di fuori posto. Si percepisce l’unicità di alcuni piatti, forse irripetibili. Sono tornato a pranzo “DaGorini” la scorsa settimana, ho dato con grandissimo piacere carta bianca al genio romagnolo, e lui, contraccambiando la mia fiducia, ha letteralmente esploso tutto il suo arsenale possibile.

Se dovessi mettermi a tavolino per studiare i piatti mi annoierei: la mia cucina è istinto.”

Alici marinate, cetrioli, friggitelli, aceto di riso, grani di senape

Reggersi ben saldi alla sedie dopo un inizio degno del miglior David Gilmour:

Seppia, spinaci e limone alla brace, aneto e salicornia

Polpo alla brace, zafferano, frutto della passione, capperi fritti e prezzemolo

Questi due piatti, a mio avviso, rappresentano molto la personalità di Gianluca Gorini, dove i toni amari del primo, con quella sensazione di mangiare carne quando addenti lo spinacio alla brace, sono seguiti dalla netta acidità del secondo, in un contesto fatto di equilibri sottili. Attacca a testa bassa arrivandoti dentro.

Quando mangi la seconda e la terza portata, su otto, di questo calibro e con questa spinta ti chiedi cosa possa arrivare dopo. Ecco che viene servita la millefoglie di melanzana, dove la concentrazione del suo brodo, base del piatto, risulta molto sapida, grazie anche alla presenza della soia, arrivando a toccare il quinto gusto percepito dalle nostre cellule recettive: l’umami. Piatto che profuma fino alle spiagge della riviera, con delicatissime note speziate -pur non essendoci spezie- e la menta, importantissima per rendere più fresco un piatto tanto intenso quanto strutturato. Pensare che il brodo di questa melanzana inizialmente veniva scartato, ma assaggiandolo, ne è stato creato un piatto, e che piatto! Capolavoro assoluto.

Una di quelle portate che diverrà sicuramente un signature è il risotto con tabacco, mandorla e nepetella. Sono questi i piatti che ti mandano fuori, in primis perché sono sapori nuovi -almeno per me- non ti rendi conto ne come e ne perchè. Mangi. Uno, due, tre bocconi. Sei avvolto dalla delicatezza e dall’eleganza di questo risotto.

Arriva il momento dell’esplosione: cappelletti di formaggio di capra, uova di trota e limone bruciato. Da mangiare esclusivamente one shot. Non appena li addenti un brivido scorre lungo la schiena, e non è il freddo.

L’ultima delle portate salate, rievoca sapori ancestrali, dove l’agnello sa di agnello, con quella parte selvatica (buona) una succosità incredibile e tanta fragranza.
Il tocco dei peperoni affumicati e delle erbe bruciate sopra, sembra nato per convivere con questa carne, un leggero dolce/amaro da sballo.

Girando ristoranti e scambiando qualche parola con chi cucina -a volte patron, altre solo cuciniere- non è difficile intuire la finalità dei vari ristoranti.
C’è chi è ossessionato da premi e riconoscimenti, come se fosse l’unica ragione di vita. Qua parlare di stelle, di cappelli, di forchette, risulterebbe fuori luogo. Qua la finalità è cucinare e trasmettere rilassatezza al cliente.
In sala, la moglie Sara, si muove di conseguenza, legata con un cordone ombelicale alla cucina.

Mela verde, sedano, capperi, lime

Semifreddo al raviggiolo, amarene candite, croccante alle noci, vermut rosso

Fu una delle mie tre cene migliori dello scorso anno, confermo tutto quanto, amplificato all’ennesima potenza in questo 2019.

Gianluca Gorini è uno dei cuochi più illuminati della cucina italiana.

#romagnainfiore