È sempre un piacere approdare nella casa di campagna della famiglia Manetti e sedersi in quel tavolone “storico” di legno massello, dove, oltre agli indimenticabili pranzi -come ci racconta Martino- vengono fatti gli assaggi dei campioni dalle vasche e dalle botti; ulteriore tassello che permette di respirare la storia del sangiovese.
In un uggioso Lunedì di metà Maggio, dove il sole stenta ad affacciarsi, e il vento spira freddo come su di un qualche passo alpino, la soluzione per riscaldare l’ambiente è ben nota ai bevitori seriali: stappare, stappare, stappare.
Come se non bastassero i litri di vino “della casa”, l’ambiente viene ulteriormente riscaldato dalla chitarra e dalla voce graffiante di Daniele Gigli -in arte Dan Mudd- il quale fa drizzare i peli con alcuni pezzi che hanno fatto la storia della musica: sembra il gemello di David Gilmour quando canta Wish You Were Here. Non è da meno quando sciorina Eric Clapton ed i Led Zeppelin.
Ma i vini?
Sarebbe inutile buttare giù un pezzo senza parlare dell’onirico liquido, anche se, come ripeto da tempo, il bello del vino non è il vino, ma le persone! Puoi avere davanti a te il miglior vino della tua vita, ma se lo bevi con delle teste di cazzo, non sarà mai il miglior vino della tua vita. A tavola si creano situazioni magnifiche, a tratti indelebili; il vino è un tramite che lega persone, crea amicizie, e perchè no, amori. Sentimentalismi a parte, oggi abbiamo bevuto alcuni capolavori. Bottiglie oramai introvabili, assaggiate grazie alla condivisione della propria cantina privata da parte di Martino.
Vini che hanno segnato un’epoca, vini che hanno tracciato un solco dal quale molti hanno preso spunto. Vini che non si sono mai piegati al mercato tentatore di fine anni ’90, inizio 2000, una tradizione portata avanti con un unico pensiero in testa: fare Sangiovese.
I nuovi…
Montevertine 2016
Leggerissimo, solubile, aereo. Una carezza ed una verve da tracannare la bottiglia a boccia. Piccoli frutti di bosco e spolverata di pepe bianco, una vena minerale quasi calcarea. Equilibrio e genuinità.
Pergole Torte 2016
Naso molto serrato. Si sente che da sotto spinge una bella materia, ma ancora compresso tra le maglie della gioventù. Si capisce che potrebbe essere un cavallo di razza, ma… attendere prego. Intanto mettere in cantina.
From the private caveau…
M di Montevertine 1993
Non essendo dalla parte della storica “ricetta” del Chianti Classico di Bettino Ricasoli, dove, assieme alle uve rosse venivano miscelate Trebbiano e Malvasia, nacque questo bianco inaspettato. Ho avuto la fortuna di partecipare a due verticali di questo magnifico vino, molto raro, dove la tenuta nel tempo è la sua arma principale.
Profuma di canditi e di mandorla, di caminetto spento e di cent’erbe; naso molto affascinante. Al palato spinge un po’ meno, dove all’ampiezza non è corrisposta quella freschezza che avrebbe allungato il sorso. Parlando comunque di un bianco con 26 anni sulle spalle (!!!) non ha un filo di ossidazione.
Pergole 2001
Micidiale. Energico. Raddese. Balsami e frutto schioccante, minerale bianco, viola, succo di melagrana -con tutti i benefici che trae questo frutto- spezie fini, a tratti mediterraneo. Estrazione del tannino al limite della perfezione, ampio ma affilato, ricco di sapore. Torna un gran frutto sul finale di bocca a contorno di un sangiovese radiante.
Sodaccio 1997
Primo tentativo di Cru aziendale, in un appezzamento di 1,5 ettari piantato nel 1972. Prodotto in esclusiva per Giorgio Pinchiorri, solo le prime due annate (1981 e 1982) finiscono per intero all’ “Enoteca”, da li alla fine della produzione -1998- furono commercializzate anche al di fuori. Fu il mal dell’esca a costringere Sergio Manetti a dismettere la vigna, ripiantandola completamente, in quella che tutt’oggi è accorpata con il vigneto de Le Pergole Torte.
In un’annata non certo da ricordare negli annali, il vino è ancora vivido, sa di terra rossa e di ferro. Le viole sono macerate, spunta anche il chinotto, e qua e la sensazioni di sottobosco. Il vino ha raggiunto la propria cuspide, magari rimarrà così per molti anni, ma di certo non ha cedimenti.
L’Ottantanove di Sergio Manetti 1989
Sergio Manetti, non ritenendo idonea annata e vino, decide di metterci la propria faccia, chiamandolo col proprio nome, declassando di fatto il Pergole di quest’ annata.
Dopo un po’ che lavora nel bicchiere, mi avvicino a Martino esclamando: “chissà se l’annata fosse stata buona”… sembra un grande Borgogna. Non aspettatevi l’esplosione olfattiva. È cauto, silenzioso, ma tutto ciò non preoccupa. Si presenta con quel tocco fumè elegantissimo, il tabacco biondo e la marasca, foglie di tè, erbe secche, arancia amara.
È leggero in ingresso, quasi dolce nelle movenze, tannino efebico, riesce a progredire in maniera lineare, aprendosi sul finale, come direbbero i francesi, a queue de paon. Datemene ancora.
Cannaio 1986
Vino tanto raro quanto magnifico. Nato per ovviare alla perdita dell’assegnazione in esclusiva del Sodaccio per Giorgio Pinchiorri. Prima annata prodotta 1983.
Una parcella di 0,2 ettari adiacente alla vigna del Pergole Torte, in una zona molto più umida dove crescono le canne, da li il nome del vino. Da vigne giovani di Sangiovese con un saldo di Canaiolo. Ultima annata prodotta 2004.
Dopo il primo quarto che emana selvaggina da pelo, apre i motori rinfrescandosi di toni agrumati e rossi come il ribes. Curcuma, resine balsamiche, muschio.
Ingresso in bocca silenzioso, lieve, conti tre secondi e lui esplode in un turbillon di sale, di materia raffinata, di sapore. Mai sfacciato, mai prorompente, non graffia ma accarezza. Prende ogni parte del palato e ci rimane per un bel po’. Bicchiere serio ma che diverte! Gran bella bottiglia.
Rinnovo i ringraziamenti a Liviana e Martino per l’ospitalità e per la condivisione di queste bottiglie.