In questi giorni ho riaperto bottiglie di vignaioli italiani dei quali, negli anni, sono passato a far visita.
Ricordi in lungo e in largo di viaggi per tutto lo stivale; giorni e giorni passati a calpestare le zolle negli angoli più belli d’Italia; capacità di entrare in sintonia dopo poche battute con uomini e donne, fino ad allora sconosciuti. Come si può pensare solo a quel liquido che fluttua nel bicchiere? C’è altro, molto altro.
Il vino è semplicità, mentre i rapporti che riusciamo a costruire con le persone che vivono il territorio rientra in un concetto che va oltre il vino stesso. Difficile entrare così in sintonia con quelle aziende dove ad accoglierti c’è la Hostess, la quale si è imparata tutto il trafiletto a memoria, dall’acquisto dei vari vigneti, ai tradimenti coniugali del proprietario con la segretaria di turno. Solitamente quest’ ultimi ambienti sono freddi, così come lo sono i vini che escono dalla cantina, pettinati come gli “Shih Tzu”.

Ho appena letto l’ultima, per ordine di tempo, delle tante interviste fatte ad Angelo Gaja, il quale sottolinea l’importanza delle 20000 cantine di artigiani, futuro dell’Italia del vino. Non che ci volesse l’imprenditore/contadino piemontese a farci aprire gli occhi, già alcuni libri sono stati scritti nell’ultimo periodo sul tema “Vino Artigianale”, e da tempo mi imbatto sulla ricerca dei piccoli produttori, ma che le parole di Angelo Gaja abbiano un peso e siano di buon auspicio per scrollare una burocrazia che non aiuta il piccolo contadino, anzi lo affossa, favorendo di fatto le medio/grandi imprese. Ricordarsi sempre che gli uni servono agli altri.

Luigi Tecce Taurasi “Polyphemo” 2012
Aglianico 100%

Quelle 4 ore passate nel cucuzzolo di Paternopoli, mi sono riaffiorate nella testa come fosse stato ieri.
Le vecchie piante di Aglianico e la cantina con botti vecchie e salumi appesi, formaggi in stagionatura e profumo di buono. La stanza adiacente la cantina con 7-8 bottiglie sul tavolo; un tagliere di quei salumi e quei formaggi visti poc’anzi; stereo acceso con l’ultimo inciso di Vinicio Capossela; si parla di vino ma non solo. Un uomo pur sempre radicato nella propria terra ma con visione a 360 gradi sul Mondo.

Naso ampio di ciliegia nera e di carruba, di cenere, di arbusti e di eucalipto. Sorso fitto ma stirato, allungato da una pienezza di frutto mai sovramatura, capace di tramutarsi in esplosione.  Quindici gradi di alcol ed esser piuma.

Contro le mode di prima, le mode di adesso, e le mode che verranno. Un vino che sfida il tempo, un vino che non ha tempo, difficile da collocare in un periodo storico. Un vino che rispecchia il vignaiolo e la propria terra.

Grazie Luigi per questo capolavoro!

Un nessuno da niente mi ha vinto col vino.

Giulia Negri Barolo “Serradenari” 2013
Nebbiolo 100%

Siamo a La Morra, ma non sembra. Nella vigna più alta di tutta la denominazione, in un fazzoletto di terra contornato dal bosco, cosa più unica che rara da trovare oggi, ahimè, in Langa. Sarò ripetitivo, ma i vignaioli che assaggiano tanto in giro per il Mondo, stanno due passi avanti a tutti gli altri.

La sensibilità di Giulia, trasfusa nel bicchiere.

Barolo giocato in sottrazione, senza perdere di vista il sapore del vino. Molto nitido il fiore e fresco il frutto, rose e lamponi. Lo cerchi. Si nasconde. È timido. Una matrice di mineralità rossa che sfaldandosi lascia spazio ad un finale di spezia dolce. Lievissima la trama. Avesse avuto uno scatto più nervoso sul finale di bocca, si sarebbe alzato di molto. Adesso non ci resta altro che assaggiare i nuovi usciti.