Siamo in alta stagione a Rosà. Il periodo turbolento con grandini ha colpito anche parte dei 4 ettari di proprietà della famiglia Capovilla. Una zona difficile per coltivare la frutta: poca aria, alta umidità, poca escursione termica. Antiche varietà piantate, adatte alla distillatura, ma più deboli di altre; una fissazione degli aromi minore rispetto, ad esempio, alla frutta dell’Alto Adige.

Meccanico nel mondo delle auto da corsa, Vittorio Gianni Capovilla, ebbe un passato sicuramente più “veloce” rispetto ai tempi di affinamento dei suoi distillati.
Erano gli anni ’70, quando, in aiuto ad un amico, iniziò a commerciare macchinari per l’enologia nell’area germanica. Iniziando a frequentare la zona mitteleuropea (Austria, Svizzera, Germania) si accorse di quanto diversa era la cultura e l’arte della distillazione rispetto al nostro paese. Ogni contadino che si rispettasse, possedeva un pezzo di terra con alcuni alberi da frutto ed almeno un alambicco, con il quale distillava per uso personale.

Alcuni numeri di quegli anni:
120 licenze in Italia per la distillazione
30000 in Germania
90000 in Austria

Questi dati fanno capire che in Italia, la cultura della distillazione, era pari a zero.
Il “Capo” si appassionò così tanto, da scommettere con alcuni colleghi, che si poteva fare qualcosa di diverso nel nostro paese, rispetto ai quei pochi prodotti industriali fino ad allora commercializzati, o addirittura riuscire a cambiare la mentalità verso un Mondo lontano. Ed ecco che alla fine degli anni ’70, inizia la rivoluzione artigianale della distillazione italiana.

Parallelamente alla produzione di vino, con non pochi problemi burocratici, portò avanti un qualcosa di fantascientifico per la zona. Dopo poco tempo però si accorse che molte energie venivano perse per strada, ed è lì che capì la via da percorrere: lasciò l’attività vitivinicola per dedicare anima e cuore alla distillazione. La faccenda fù talmente seria che nel 1988 iniziò ufficialmente ad operare come distilleria, trasformando la propria passione in un lavoro.

Oggi, grazie alla forte passione che ancora lo contraddistingue, assieme al preparatissimo ed altrettanto appassionato nipote Alvise, si diverte e si incuriosisce, provando frutti provenienti da ogni parte d’Europa, lavorando solamente con antiche varietà, le quali permettono esplosioni aromatiche e profondità gustative altrimenti impossibili da raggiungere. In vigna i trattamenti sono principalmente effettuati con estratti di alghe marine, anche se ogni pianta richiede un trattamento a se stante. Ad esempio vengono estratti i tannini dal legno di castagno per alcune piante.

Oltre ai 4 ettari di proprietà, vengono scelti frutti provenienti da zone molto vocate: Trentino, Croazia, Moldavia, ma anche frutti esotici dai Caraibi.
Vi chiederete perché i Caraibi. Presto detto. Grazie alla collaborazione con uno dei più grandi esperti di rhum nel Mondo, Luca Gargano, Gianni Capovilla nei primi anni del nuovo millennio, andò in visita a Guadalupe, un’isola delle Antille francesi, nella quale la coltivazione di canna da zucchero è pane quotidiano. L’idea era quella di creare un Rhum “diverso”, e così fu. Al contrario di tutti i rhum agricoli, diluiti fino al 50% con acqua, nacque rhum rhum, ottenuto dal succo puro della canna da zucchero.

Ma torniamo in Italia, ed addentriamoci nei magnifici processi della distillazione.

Nella piccola stanza di fianco alla cantina, sono disposti in serie quattro alambicchi.

PRIMA DISTILLAZIONE…

Iniziamo con lo specificare che le due distillazioni avvengono entrambe a bagnomaria.

Il suo principio è quello di limitare le temperatura rispetto ad una distillazione classica, dove il vapore è diretto o addirittura inoculato. La temperatura del bagnomaria è di 102° del punto di ebollizione dell’acqua; il principio è lo stesso che usiamo in cucina, una pentola dentro un’altra pentola, e fin qui tutto semplice.
Il fermentato viene messo dentro ad una caldaia, dove vi è un’intercapedine all’esterno, e grazie al vapore ivi inserito, l’acqua va in ebollizione. Con questo processo vengono portati ad ebollizione i vapori alcolici del fermentato, i quali non sono molti, si parla di tre o quattro gradi alcol. Questa è la prima distillazione, dalla quale si ricava un distillato di bassa gradazione -denominato Flemme– siamo all’incirca sui 20-30 gradi alcol. Una distillazione sommaria, dove non vengono tolte ne teste e ne code, passaggio che avverrà nella seconda fermentazione, in altro alambicco.

Sempre all’interno del primo alambicco, è presente un agitatore, il quale ha lo scopo di tenere in movimento il fermentato, così che la diffusione del calore sia omogenea in tutta la massa e non vada a disalcolare alcune zone invece di altre. I vapori quando raggiungono il loro punto di ebollizione si separano, passano attraverso il “Duomo”, da quest’ultimo vanno a finire dentro al deflemmatore -piccoli tubi a bagno in acqua fredda- nei quali i vapori sono costretti a passare. In questo modo, per differenza termica e difficoltà fisica nella risalita, si condensa una piccola parte di questi vapori, i quali vengono concentrati e ricadono in caldaia; inoltre questo passaggio ha la funzione di concentrare anche la parte alcolica.

Una volta finita la distillazione si scaricano i distillati esausti (borlande) che non hanno praticamente più grado alcolico.
I distillati sono solo puri a Rosà. Niente infusi o dealcolati.
Questa è la cosa principale che differenzia i distillati di Capovilla con altre distillerie. Sono tutti distillati DI pere, distillati DI pesche ecc… non sono distillati ALLE pere o distillati ALLE pesche.

SECONDA DISTILLAZIONE…

Passiamo al secondo alambicco, dove il principio è il medesimo, ovvero a bagnomaria. La differenza è che ci sono i piatti di distillazione (pochi) in pratica un alambicco ibrido. È comunque discontinuo, anche se i piatti sono caratteristiche degli alambicchi continui. Con i piatti tecnicamente si scarnifica il prodotto di quelle che sono le parti estranee all’alcol; se fossero presenti 40 piatti, i vapori che riescono ad arrivare in cima e vincere tutte le differenze e le difficoltà fisico/termiche, avranno alcol a 94-95 gradi; ripeto quelle a molte colonne e con 40 piatti (solitamente nelle distillerie industriali).
Qua sono presenti pochi piatti, per dare maggiore concentrazione alcolica ai vapori che si separano, ma al tempo stesso per riuscire a tenere quelle che sono tutte quante le loro parti aromatiche e tutte le loro caratteristiche; non si vuole ottenere un alcol snaturato da quelli che sono i suoi aromi.

Come funzionano i piatti?
Sono dei piatti concavi, perchè i primi vapori che si separano sono gli alcoli basso/bollenti (le teste), le quali toccano questi piatti, si condensano, e rimangono sul piatto stesso, quindi non c’è un reflusso continuo di esse, inoltre, non ricadono in caldaia, per cui non si continua a distillare teste, in questo modo abbiamo già un distillato più pulito. Il vapore ripassa dentro un’altra colonna di condensazione, dove i primi liquidi che si condensano passano attraverso il preleva campioni, quest’ultimi vanno a finire in una boccia di vetro -dove vengono raccolte le teste- poi tramite assaggi continui, nel momento in cui non si sentono più solforose e acetoni derivanti dalle fermentazioni, il liquido passa attraverso il contalitri e poi dritto nel collettore. Tramite un sistema di tubazioni incredibile, si giunge alla parte finale, dove si scarica l’alambicco e si eliminano code e teste, sempre tramite molti assaggi.

Il taglio da distillato a grado intero è il passaggio finale, dopo aver fatto l’affinamento nei fusti dopo diversi anni. Avviene tramite acqua di sorgente dopo un ulteriore mini principio di distillazione a temperature basse (30°-40°) per togliere le teste non separate durante la seconda distillazione.

L’energie economiche e fisiche, assieme alla mano d’opera, sono dieci volte superiore alle distillazioni industriali.

Abbiamo assaggiato i distillati puri, prima di essere “tagliati”, dai serbatoi a 80 gradi. Incredibile come la purezza del frutto esca dal bicchiere nonostante l’alta gradazione, alcuni profumi di frutto difficilmente ritrovabili anche nei frutti stessi.

Al contrario del vino, ai distillati, l’escursione termica  aiuta l’evoluzione; sono reazioni che avvengono tra acidi grassi, esteri, ossigeno e alcol; questo processo chimico si chiama esterficazione. Ovviamente l’esterificazione è maggiorata a pieno grado, per cui i distillati vengono lasciati nei serbatoi per l’evoluzione.

Un lavoro pazzesco anche con le vinacce della grappa. Vengono ritirate da alcuni dei migliori vignaioli del globo. Un’accurata selezione delle migliori vinacce dei migliori vigneti. Le vinacce vengono tutte pagate, non sono un “di più”, non si vanno a raccogliere con la ruspa. La richiesta del “Capo” è di farsele mettere dentro a dei sacchi pressate. Se sono vinacce vergini da uve bianche, viene aggiunto un secchio di mosto in fermentazione, cosicché fermentino, ed appena arrivano a Rosà, sono già pronte per la distillazione. Solitamente la vinaccia è sempre stata vista come uno scarto, se c’era del tempo, in inverno, veniva distillata.
Questa è salvaguardia della materia prima.

CAPOVILLA: ORGOGLIO ARTIGIANALE ITALIANO.