Certi luoghi non si improvvisano fautori del vino di qualità da un momento all’altro. La storia parla a favore dell’areale del Chianti Rufina, dove i comuni di Dicomano, Rufina, Vicchio, Pontassieve, Londa e Pelago, sono menzionati da Cosimo III dé medici nell’Editto del Granduca di Toscana nel XVIII secolo, assieme al Carmignano e al Chianti Classico, ritenute all’epoca le tre aree più vocate della Toscana.

Un paesaggio suggestivo, ricco di castelli e sfarzose ville cinquecentesche, costruite dalle grandi famiglie fiorentine nel corso dei secoli. Il vino è cultura e la cultura passa anche attraverso l’arte, difatti Vicchio fu dimora di Giotto, trasferitosi solo dopo a Firenze.

Ma veniamo a noi.

Riavvolgendo il nastro, torniamo nel ‘200, dove nella vicina Figline, la famiglia Libri, possedeva Poggio Tazzi, dimora e azienda agricola. Nel Medioevo, ancor prima che i medici riconoscessero l’areale come uno dei tre più importanti della Toscana, la fattoria che tutt’oggi porta il nome di Cerreto Libri, era di proprietà di alcuni amanuensi fiorentini, i quali passavano intere giornate nella quiete di questo luogo incantato, per portare avanti i loro manoscritti.

Un salto temporale ci porta al XVII sec. dove il matrimonio tra un Libri e una signora Del Rosso -la cui famiglia era proprietaria di Cerreto- decretò il nome della Fattoria. Trecento anni di storia, trecento anni di Cerreto Libri.

Ultime due generazioni.

Bandini Libri, padre di Valentina -colei la quale tutt’oggi porta avanti la tradizione di famiglia- anch’egli proveniente da famiglia nobile, iniziò ad imbottigliare prima rispetto a tutti gli altri, e lo faceva con delle Toscanelle, classico fiasco dell’epoca, il quale si distingueva per una forma più squadrata e perché privo di paglia, esteticamente non particolarmente bello, come ci racconta la figlia. Pur facendo vino da sempre, il rosso nettare non veniva preso troppo in considerazione, dando di conseguenza poca importanza a tutto quello che vi circumnavigava attorno. Ci fu un momento dove sembrava che l’ingranaggio fosse rodato, passando ben presto alle più eleganti bordolesi, ma dopo qualche anno -Bandini- si stufò e cominciò a vendere vino sfuso e uva alle cooperative.

Fu il 1991 l’anno zero, quando entrò con fare deciso Valentina, la quale con idee ben precise, riprese in mano tutto quello che gli apparteneva e riniziò ad imbottigliare. Dal 1998, assieme al marito Andrea Zanfei -anima di Cerreto Libri- andando contro alle mode del momento, convertì la fattoria in biodinamica, credendo fortemente nel frutto che questa terra poteva regalare.
È una terra che attira e respinge chi vuole, vive di luce propria”
Valentina

Nel frattempo, dopo la morte del padre, furono molte le problematiche accorse, per complicazioni di eredità. Per farla breve, Valentina rinunciò alle ville, alle comodità, ai soldi, per l’amore viscerale verso questa terra. Purtroppo dovette rinunciare anche ad una vigna di 50 anni, venduta, per poi essere estirpata, perché secondo le idee malsane di chi l’acquistò, produceva poco; ecco la mentalità disfattista delle industrie che comandano.
Proprio le complicazioni ereditiere si ripercuoterono sui vini, in quanto, i vari travasi effettuati e lo spostamento dei luoghi di stoccaggio degli stessi, deteriorarono lo stato del vino in affinamento, per cui non è raro trovare vini completamente ossidati dal 2007 al 2010.

La rinascita vera e propria del sangiovese di Cerreto Libri viene consacrata col millesimo 2011 -annata attualmente in commercio- dove i cavilli parentali si sistemarono e si poté lavorare con i criteri caratterizzanti Valentina e Andrea. Ma le sorprese non finirono qua: la commissione d’assaggio non ritenne idoneo il vino in questione, tanto da far prendere la palla al balzo alla coppia, ed uscire una volta per tutte dalla denominazione, non riconoscendosi più con nessun altro vino che rispecchiasse questa terra. Per questo motivo decisero di chiamare il vino come il nome storico di quel luogo “Libri”, dal latino Liber=Libero.

Oggi è il vino più rappresentativo dell’azienda, preceduto dal “Canestrino” vino bianco composto da trebbiano e malvasia, concludendosi con la selezione dei due tonneaux migliori del Liber, i quali compongono il “Padronale”.
Purtroppo all’inizio del 2018 viene a mancare -Andrea Zanfei- marito di Valentina, per questo motivo molti pensavano che l’azienda sarebbe entrata nell’oblio del decadimento, seguito dalla vendita in toto; ma l’aiuto in cantina di David Casini, affermato professionista con scuola francese, è stato fondamentale, andando a ricreare un entusiasmo magnifico, con idee che guardano al futuro.

L’importanza, oggi, della parte commerciale, è fondamentale, trascurata nel corso degli anni precedenti, canalizzando tutte le forze fisiche, mentali, finanche filosofiche, alla terra. Così, assieme all’amico fraterno, entra a dar man forte Samuele Del Carlo, istrionico e competentissimo assaggiatore, il quale con passione travolgente ristabilisce quella che ad oggi è la migliore cantina della Rufina, e non solo…

Con l’annata 2018 vedremo dei cambiamenti, ma senza stravolgere l’essenza di una toscanità rara da trovare altrove. Il “Canestrino” unico vino bianco, vedrà per la prima volta il legno in elevage; ma la sorpresa più grande sarà l’entrata in scena di un nuovo prodotto: il “Libertino”, che andrà a collocarsi come vino d’ingresso nella scala gerarchica dei 3 rossi.

Dai 5 ettari si produrranno sempre le stesse 5000 bottiglie nella 2018, ma fra un paio di anni, il “Libertino” sarà spremuto dalle uve provenienti da una vigna piantata proprio all’inizio di quest’anno. Per cui il nuovo assetto sarà così composto:

“Canestrino” con passaggio in legno;
“Libertino” da vigna giovane;
“Liber” da vigna vecchia;
“Padronale” selezione delle due migliori botti del Liber, stesso corpo vigna vecchia.

Assaggi in anteprima 

“Canestrino” 2018
vigna di 50 anni, stesso corpo della vigna del Liber, porzione storica, trebbiano 95%, malvasia 5%.
Diraspatura e vinificazione in cemento; 2 giorni di macerazione sulle bucce, con 2 rimontaggi al giorno.
Dopo essere stato svinato, una massa va in legno e una in cemento. Fermentazione spontanea.
Tutti gli zuccheri svolti, ma è davvero un embrione. Quello che possiano notare è una pulizia nell’esecuzione ed una maggiore densità delle precedenti annate.

“Libertino” 2018
Sangiovese 100% macerazione di una settimana, parte della quale -30%- a grappolo intero, fermentato in cemento.
Tende alla crocantezza, al floreale. Estrazione del tannino magnifica, maturo, da raspo. Ancora qualche strascico di zuccheri da svolgere, vino solare.

“Liber “2018
Sangiovese 100% macerazione di due settimane, con un rimontaggio al giorno.
Eccola la mano di David. Fluidità e finezza. Il rispetto verso il sangiovese, ma soprattutto verso colui che lo ha preceduto. Bravo!

“Liber” 2014 
ancora in cemento. Tannino più di centro bocca, meno ampio. In una fase sorniona.

“Liber” 2013 
Il miglior assaggio della giornata. Anche se deve digerire un po’ di legno, si capisce di essere davanti ad un capolavoro. Setoso e profondo, luminoso e dirompente. Acidità fuori scala per un vino che non conosce tempo. Brivido.

Vini in commercio:

“Canestrino” 2015 
sa di ferro e di acciuga, non profondissimo, acquoso. Un vino da tutti i giorni e buono per la mescita. Il passaggio in legno era obbligato.

“Liber” 2011
Un filo di legno che poi sparisce. Arcigno ma di succo, agrume e ciliegia nera. Verace ma aristocratico.

“Padronale” 2009 
Tanto alcol e ricchezza estrattiva, naso di cassetto della nonna, incastrato nel primo quarto. Molto sulle sue, anche se possiamo scorgere agrume e ferro. Poca mobilità in questo momento, ma il peso estrattivo c’è intriso alla forza graffiante. Etereo.

“Agostino” 1947
vin santo imbottigliato da Agostino, nonno di Valentina. Mare e terra, erbe mediterranee, ferro, agrume e caffè. Bocca vispissima, sapore corroborante, riempie il palato e scossa il corpo. Fantastico!