Se avete da spendere 5 minuti della vostra giornata e volete interagire, magari intervenendo su un argomento molto spinoso quale la variabilità di giudizio di un vino grazie alla variabilità tra bottiglia e bottiglia, accomodatevi.
Capisco sia molto più semplice mettere una foto con un bello sfondo, scrivendo una frase ad effetto su un vino, ma come torno a sottolineare, questi post sono tutto fuorché acchiappalike, e dato il confinamento in casa, è l’unico modo per interagire con altri appassionati e curiosi.

Cosa succede?

Succede che in un giorno di festa (comandata, non richiesta da nessuno!) ci troviamo per il secondo anno consecutivo (!) in casa in semi-libertà vigilata, per cui abbiamo tempo per approfondire e studiare.
I discorsi potrebbero essere molteplici analizzando le varie dinamiche, rischiando di diventare pure noiosi. Ma tanto chi non è interessato è già passato oltre. Determinate bottiglie, secondo me, NON sono adatte per essere stappate al ristorante, o se lo si decide di fare, premunirsi in anticipo col ristoratore per gestirle al meglio, altrimenti si buttano via soldi e si rischia di sminuire il lavoro di certi vignerons, raccontando qualcosa di non veritiero.

Questo perché alcune bottiglie hanno bisogno davvero di tanto tempo per esprimersi, io capisco che non lo abbiamo, e che quando vogliamo aprire una bottiglia di vino non vorremmo ricamarci troppo sopra, ma d’altronde, volente o nolente, funziona così:
determinati vini richiedono maggiore pazienza, se non la si ha, nessun problema, passare ad altro, tanto lui, il vino, non rimarrà deluso.

Evito di scrivere storytelling (anche se non nascondo che mi piacciono) sui tre vignerons in questione, altrimenti ci facciamo buio, qualcosa dovreste trovare in giro, perché vorrei focalizzare l’attenzione su un argomento particolare: giudizi e distorsioni.

Il vino è qualcosa di meraviglioso, di unico.
Stappare una bottiglia è quel gesto che anticipa la festa, l’amicizia, i rapporti. Ma stappare una bottiglia per qualcuno di noi, molti meno di quelli che pensiamo, è soprattutto motivo di discussione, di confronto, di approfondimento. Se ci approcciamo a determinati vini, oltre che dal canonico oggettivo/soggettivo (dù palle!) entriamo in un vortice senza fine, dove ognuno dice la propria, ma che i raffronti non trovano punti concreti e condivisibili. Queste bottiglie, oltre a poter essere molto diverse tra loro, secondo il mio modesto punto di vista, si muovono molto più velocemente rispetto ad altre, risentono parecchio del luogo e della persona che le stappa, si comportano esattamente come noi.

Mi prenderete per pazzo, per avvocato difensore, ma così non è.

Se una bottiglia è difettata, è difettata, punto.
Non esistono giustificazioni in merito.

Ma la bottiglia che trovo io perfetta, potrebbe non esserlo per te, o viceversa.

La bottiglia che tu hai trovato un po’ zoppicante non può esserlo per me, o viceversa.

E non sto parlando di oggettività e soggettività.

Quante volte vi capita di leggere o sentir dire che quel vino che tu avevi trovato splendido, nitido, cristallino, risultasse scuro, imbrigliato, financo con una puzzetta dura a scomparire?

E quante altre vi capita di sentire che quel vino che tu avevi trovato teso, salato, profondissimo, risultasse molle, corto, banale?

Ecco, questi sono solo due esempi di distorsioni su bottiglie diverse tra loro, parecchio diverse direi!

Adesso non entriamo nel merito della faccenda, sui discorsi di aggiungere o meno un pizzico di solforosa perché probabilmente non siamo noi nemmeno in grado di poter mettere bocca su un lavoro che non ci compete, ma possiamo discutere su quello che ci troviamo nel bicchiere, senza remore, perché la bottiglia l’abbiamo PAGATA coi nostri denari, e se puzza di fogna, se ha una volatile fuori controllo, o se si verificano altre problematiche, parliamone, sempre con massimo rispetto.

Per me, se non si fosse capito, il vino è uno ed uno soltanto.

Ieri ho deciso di aprire tre vini di altrettanti artisan vignerons d’oltralpe, alcuni diventati ormai di difficile reperibilità sul mercato, ma che portano avanti una concezione di fare vino molto simile.

Avevo già bevuto il “Faïa” di Mai e Kendji Hodgson, dovevo ancora provare questa cuvée.
Les Aussigouins è uno dei più grandi terroir di Rablay sur Layon -Anjou- assieme al più celebre Montbeneault, vicino immediato. Vigne di quarant’anni piantate su terreni di origine vulcanica. Data la sensibilità da parte di questi vini, viene consigliato un riposo prolungato delle bottiglie, ma la curiosità è sempre molto alta.
Vino aperto alle 09 del mattino e messo in caraffa.
Al primo assaggio aveva quell’ormai tanto chiacchierato gusto di souris -sul finale- associabile ad un gusto di insaccato, per intendersi.
Questa deviazione è riscontrabile quando i vini sono poco protetti a livello di solforosa.
Solitamente mi fa più paura quando viene fuori dopo che il vino è stato a contatto con l’aria, rispetto a quando lo trovo appena aperto.
Non è la prima volta, che sparisce dopo essersi presentato all’apertura, non chiedetemi il motivo perché non ho una risposta.

Vino che rimane compresso per buona parte del pranzo, lo senti che preme da sotto ma è trattenuto. Timidamente spunta la camomilla e foglie di tè, sasso e salsedine. Vino aereo che gioca sul dettaglio e sulla finezza. Quando tenta di aprirsi arriva una bordata di sale ed un mare di acidità, matura, mai cruda, che sorregge uno spessore che non friziona mai il sorso, e da uno slancio come solo i grandi vini sanno fare.
Per quanto mi riguarda non siamo nemmeno al 50% del suo potenziale. Vino che potrebbe diventare grande!

È il mese del pineau d’aunis. Quando mi prendono le fisse ci sbatto più e più volte la testa. Dopo quello non esaltante di Brendan Tracey (2017), dopo lo stupendo “Regard” 2017 di Robinot, apro un altro 2017, l’ “Enchanteresse” di Renaud Guttiere “La Grapperie”, proveniente da vigne centenarie, nel Touraine.
Erano anni che non lo bevevo, erano anni che mi mancava qualcosa. Vino unico, inimitabile.
Vino che ti stordisce già dal primo sorso, non capisci più niente, vibra tutto il corpo. Arancia, pompelmo, chinotto, rosa. Ti sfregia ad ogni colpo, ti scuote.
Ha un succo che frizza tipo le caramelline selz che mangiavamo da piccoli, uno strappo finale dritto e disteso, per una ventata di benessere. Psichedelico.

Infine aperta la nuova annata di Dandelion, hautes-côtes nature 2019, pinot noir della giovane coppia Christiane e Morgane, proveniente dal villaggio di Meloisey, appena sopra la collina di Saint Romain, nelle hautes-côtes de Beaune. Cambio di registro rispetto alle prime due annate, dove i tratti più rustici, di calore e di maturazione più spinta del frutto marcavano molto il tratto, lasciano spazio in questo millesimo ad una purezza mirabile, ad un sorso cristallino, soffice e di sapore. Sarà stato il clima, sarà stata la maggior consapevolezza del fare, la maggior sensibilità, fatto sta che l’asticella sembra si sia alzata molto.

Dopo una partenza strozzata, vino che verteva su toni caseari (coda di malolattica in bottiglia?) ha bisogno di due ore di decanter per sprigionare tutta la sua energia e la sua vitalità, rendendola disponibile a chi si approccia a lui. Grana finissima dei tannini i quali apportano incisività e gusto. Ferroso. Buono!