Lei lo vide arrivare con la bottiglia sottobraccio recando in mano un vassoio con due calici vuoti.
La prima cosa che pensò fu quanto quell’atteggiamento fosse poco in linea con un servizio che volesse dirsi professionale, a dispetto del tono pretenzioso di quel locale, recentemente posizionato sotto i riflettori modaioli cittadini e soprattutto le sembrò che il vino che lei aveva ordinato ne fosse in qualche modo sminuito, tanto da esserne immediatamente contrariata.
La seconda, subito conseguente, fu che Lui lo aveva già visto da qualche parte.
Non particolarmente alto, una fronte spaziosa, capelli scurissimi e impomatati all’indietro, naso piccolo e definito. I baffi poi, erano proprio quelli santiddio, identici. Quello era il corpetto ed anche il fiocco nero a chiudergli sul collo una camicia bianca di quelle a buon mercato.
Il tutto in un insieme materico e di movimento spaziale decisamente demodé.
Dove. Non riusciva a ricordare. Quando. Non ricordava neanche questo.
Si fermò rigido al loro tavolo. Erano in tre, come al solito, e senza farlo apposta erano anche molto adeguate e come al solito, senza alcuno sforzo, belle.
Lui sicuro posò i calici sul tavolo e con irritante superficialità: “Ne ho portati solo due. Bevete tutte?”.
Lei, con tono piccato: “non dovremmo forse?”.
Certo. Vado a prenderne un altro” e fece diètro frónt con la bottiglia ancora sottobraccio.
Le salì un moto di stizza pensando al suo vino sballottato da quel damerino e la sensazione di déjà-vu le esplose in testa ad irriderla, perché la memoria non le restituiva né un dove né un quando.
Lui tornò poco dopo con il terzo bicchiere, appoggiò finalmente la bottiglia sul tavolo e dopo averla aperta, senza particolare grazia – c’è da dirlo – chiese chi volesse assaggiarlo, ignorando la regola basilare che fosse compito di Lei, dato che lo aveva scelto. E, al solito, arrivò esterna ed immediata la risposta di sempre, incontenibile, implacabile, imbarazzante.
Lei, Lei! Lo assaggia Lei! Sa… è sommelier!”.
Potremmo evitare tutte le volte questo teatrino?”
Assolutamente no! Noi siamo particolarmente fiere del fatto che tu lo sia!”
E fin qui… Dico solo di fare di questa fierezza una questione privata.”
Senti, non vedo perché non dovremmo…”
Lui le interruppe villanamente: “insomma lo assaggia o no?”.
Lei gli riservò un’occhiata feroce, che tuttavia parve non impressionarlo affatto, dopodiché annusò ripetute volte e con una calma snervante il vino che le aveva versato, fiutandolo come un predatore sottovento del suo pasto. Lo faceva ruotare nel bicchiere, con una gestualità volutamente teatrale, continuando a riversare su di Lui sguardi gelidi e carichi di ostilità.
In questo suo gioco melodrammatico incrociò per sbaglio gli occhi di un altro uomo, anch’esso baffuto, seduto con la propria compagna al tavolo di fianco, che immediatamente li mosse altrove, come temesse l’ustione della retina, finché serafica e con un pathos di gran lunga esasperato, Lei disse “è corretto”.
Lui si limitò ad un imperturbabile “bene” e senza aver versato il vino alle altre né aver rabboccato il bicchiere di Lei, si allontanò in fretta come se avesse altro e di meglio da fare.
Lei lo odiò e ricordò all’istante come, quanto, dove e quando lo aveva amato.
A prima vista e senza scampo.
A Roma, in un quadro esposto dentro un quadrato armonico.
Alla fine dell’estate.

 

La visita in villa”, è un dipinto di Silvestro Lega, esponente di spicco del movimento artistico dei Macchiaioli, che nel 1864, come si legge dalla data affiancata alla sua firma sulla sinistra del quadro, rappresentò una scena dai caratteri molto intimi, raffigurando alcune figure in amabile conversazione sul far del tramonto, nell’hortus conclusus di un cortile prospiciente ad una semplice e disadorna abitazione di Piagentina.
Si trattava di una località, nell’immediata periferia di Firenze, che da Piazza alla Croce si estendeva fino a Varlungo, risalendo il torrente Affrico, sulle cui spiagge ombrose e nei campi circostanti, Lega, Signorini, Martelli, Banti e altri Macchiaioli dipinsero numerose scene di paesaggio e di vita all’aperto, dando vita a quella che, all’interno della corrente artistica, venne poi definita in maniera omonima, Scuola di Piagentina.
Fu quella una stagione di straordinario slancio creativo da parte di Lega che, come ricordava anche l’amico Signorini, “fedele al suo programma di produrre un’arte dove la sincerità d’interpretazione del vero reale, dovesse, senza plagio preraffaellista, ritornare ai nostri quattrocentisti e continuare la sana tradizione, non più col sentimento divino di quel tempo, ma col sentimento umano dell’epoca nostra”, dipinse alcune delle sue opere più note e riuscite, interpretando una realtà plasmata su una quotidianità luminosa e delicata, priva di sovrastrutture artificiose, interiorizzandola con una carica poetica ed emozionalmente partecipata.
In effetti, gli stilemi compositivi delle predelle del Quattrocento sono richiamati non solo nel formato allungato del dipinto (misura 32×79,5 cm), ma anche nella composizione paratattica della scena in cui il ritmo viene intrapreso dal giovane che esce di casa, portando con sé una bevanda e dei bicchieri come presumibile offerta di ospitalità agli astanti, seduti su un muretto tra la proda dell’argine e la casa, in due gruppi distinti: tre fanciulle più a sinistra e una coppia a destra.
Curiosa è la presenza di una sedia di fattura moderna portata dall’interno dell’abitazione forse per offrire una seduta più confortevole che non il muretto in pietra o semplicemente con l’intenzione da parte dell’autore di inserire nell’insieme un oggetto più ricercato ma non dissonante con quel senso di garbata semplicità che permea la scena.
Si tratta di un contesto carico di vibrante intimità, delimitato dal muro dell’edificio come da una quinta teatrale, nel quale si percepisce il chiacchierio quieto e lieve di quelle figure sospese ed al contempo concluse entro uno spazio dove una luce di fine estate accarezza solo gli alberi e le colline lontane, in una resa più da acquerello che da pittura ad olio.
L’opera, oggi parte di una collezione privata, apparteneva a Rinaldo Carnielo, scultore di origine veneta, ma naturalizzato fiorentino, fra i più importanti collezionisti delle opere dei Macchiaioli, acquistate non solo per sincera familiarità e tangenza alle tematiche del movimento, ma anche per una certa agiatezza risultante dal matrimonio con la Marchesa Virginia Incontri. È molto probabile che “La visita in villa” fosse entrata a far parte della collezione Carnielo nel 1878, anno in cui Lega eseguì per lui un affascinante e malinconico ritratto, oggi presso i Musei Civici Fiorentini.

 

CONNESSIONE

V. è odioso, non trovi?
G. ma chi?
V. quello con i baffetti e col vino sottobraccio.
G. a me pare figo.
V. macché figo! ti pare che si possa tenere una bottiglia così?
G. ma che ti frega… pensa piuttosto quanto sarebbe bello sedersi su quella sedia, in quella luce di fine estate, con lui che ti porta un bicchiere di quel vino rosso -com’è che si chiamava?- aveva a che fare con una villa…
V. se tu ti prendi la sedia, la signorina nel quadro dove si mette a sedere?
G. sul muretto anche se con quel culone starebbe sicuramente comoda anche in terra…
V. …. G!!!!!

 

VG
aprile 2017