La giornata era uggiosa.
Una fitta pioggerella ci accompagnò fino alla tettoia di fronte alla porta d’ingresso della cantina.
Ci aspettavano lì Odilio e Mattia, ombrelli aperti, iniziammo a fare quattro passi nel cortile.
 La terra risudava. I porfidi emanavano quell’onirico profumo minerale.
Il bosco, da queste parti, sembra avanzare incontrastato.
Ci spiegarono la netta differenza dei terreni tra Bramaterra e la vicina Lessona.
Instaurammo subito un legame come si conviene tra vecchi amici.
Mattia ci invita a montare sopra al fuoristrada per andare a vedere da vicino la disposizione delle vigne.

Scrivo queste righe a distanza di un anno e mezzo. Non sempre trasformo i miei viaggi vinosi in scrittura, altrimenti a quest’ora avrei potuto scrivere un libro, ormai tutti lo fanno. Nell’ultimo periodo mi accade con continuità di stappare bottiglie e rispolverare le esperienze vissute. Come sottolineo sempre il vino non è solo vino, ma tessitura di rapporti umani, veicolo di memoria ed emozione.

Non sempre tornare nei luoghi dove hai lasciato un pezzo del tuo cuore è possibile nell’istante in cui lo desideri. In molti casi come questo, per andare incontro al desiderio, sono sceso in cantina ed ho sottratto una bottiglia nella fila venticinque, al posto numero quattro.

Molta gente pensa che in cantina custodiamo “solo” delle bottiglie. Il vino non è solo mero prodotto ottenuto da una fermentazione alcolica. Le bottiglie di vino non sono solo oggetti da collezionismo fini a se stesse. Le bottiglie di vino in qualche modo raccontano un luogo, una cultura, generazioni, uomini, donne, famiglie, sacrifici.
Le bottiglie di vino riescono a rimanere semplici bottiglie con un semplice liquido al suo interno, ma al tempo stesso riescono a farsi ricordare per tutta la vita, in base al rapporto personale che ognuno di noi nutre verso quel tipo di onirico liquido.

Questa foto l’ho scattata personalmente, era il Marzo del 2018.

Possiamo vedere a 360 gradi il dolce altopiano dei Martinazzi, dove la strada si inerpica, fino ad arrivare al nuovo impianto, Vigna Concignone. Terreno letteralmente strappato, o meglio, recuperato al bosco. Sono cinque gli ettari di proprietà della famiglia Antoniotti, e le varietà coltivate sono quelle storiche della zona: nebbiolo, croatina, vespolina, uva rara. Giunti alla settima generazioni, gli Antoniotti non hanno mai abbandonato la campagna, nemmeno con la grande crisi del dopoguerra, quando tutti cercavano fortuna in città. Qua, oltre alla vite, si coltivava frutta e si allevavano cavalli. In tutto il Piemonte del nord si è riusciti a mantenere intatte le tradizioni, senza andare verso scorciatoie e senza seguire le mode del momento. C’è chi lavora in maniera diversa rispetto a questa piccola cantina di Sostegno -provincia di Biella- ma in linea di massima il protrarre una tradizione legata fortemente al territorio, non è cosa rara quassù, nel nord del Piemonte. Sarà per questo che i vitigni internazionali non hanno attecchito. I contadini non si sono piegati alle richieste di un mercato orientato al “gusto americano”. Oggi, avendo mantenuto intatto un ideale, vengono, come giusto che sia, ripagati da appassionati, semplici fruitori, e critica (messa per ultima non a caso).

La chimica non va denigrata, ma studiarla mi è servito per capire cosa non devo fare nel vino che produco”.

Queste le parole di Odilio Antoniotti che rimbombano nella secolare cantina; le stesse rimarcate da uno dei più grandi contadini di Borgogna: Henri Jayer.

Arrivando in cantina di vinificazione possiamo notare delle vecchissime vasche interrate di cemento, scavate a mano dal nonno di Odilio -bisnonno di Mattia- esattamente nel 1901 una, e nel 1920 l’altra, e così sono rimaste. Oggi stanno tornando in molti su questo materiale, neutro, ma sopratutto ottimo scambiatore termico naturale.

Una profonda conoscenza del proprio territorio e del proprio mestiere quella di padre e figlio. Uno dei vini più puri di tutto l’areale.

Che bello quando i vini non si concedono fin da subito. Una lieve carbonica preannuncia una vitalità raggiante.  Profuma di arancia amara e di genziana, di humus e di quel frutto frizzante, ora rosso, ora nero. Guizza al palato, dove il sapore autunnale è precursore dei granelli di sale che scricchiolano tra i denti. È un vino di cuore, di amore, di passione.