Eccolo l’annoso dilemma del XXI secolo, IL TERROIR.

Anelli congiuntori che parlano di clima, microclima, suolo, esposizione, vitigno, inclinazione della vigna, venti, uomo, donne e bambini. Tutto vero. Tutto molto bello e sentimentale, ma a volte ti scontri con vini che per qualsivoglia motivo, hanno ragioni di esistere diverse da quelle sopra citate. L’ego del vignaiolo che sovrasta uva, terreno, vinificazione e puttana Eva! L’impossibilità materiale di mettere insieme quello che richiederebbe il “manuale d’istruzione”. Ecco che ti ritrovi il paradosso, dove tutto è vero e tutto è messo in discussione. Poi in un secondo momento ci chiediamo anche cosa sia il vero, ma tant’è…….

In una serata di mezza primavera, dove già da qualche settimana, almeno a Firenze e zone limitrofe, camminiamo durante il giorno senza l’ingombro del giubbotto, ci sediamo in spensieratezza e iniziamo a stappare senza aver la minima idea di quello che sarebbe successo.

Due astanti, tre bottiglie.

Sarebbe potuto accadere che qualche pattuglia ci fermasse sequestrandoci il mezzo, oppure che inebriati dai fiumi dell’alcol camminassimo in fila indiana nel bel mezzo della strada. Ma niente di tutto ciò. Siamo gente per bene, noi. Mentre stavamo bevendo e discutendo sui vari vini, cazzate varie ed eventuali, una luce in lontananza veniva verso di me. L’illuminazione di San Bacco. Mi rendo conto in 3 secondi e 14 decimi, nuovo record mondiale da sbronzo di non so che cosa, di esser davanti a tre vini distanti geograficamente parlando, ma tanto vicini per concezione di pensiero.

Pietramarina, Sciaranuova, Allegracore, Gaiole in Chianti, Le Landreau.

Cosa aspettarsi dalle tre contrade del versante nord dell’Etna? Oppure da uno dei comuni più radiosi del Chianti Classico? E da quel villaggio vicino Nantes, forse mai sentito fino ad ora? Su quest’ultimo faccio fatica ad espormi, in quanto rossi provenienti da questa zona mai ne avevo bevuti. Sono più masticabili i rossi delle mie colline, quei sangiovese con cui sono nato e cresciuto -alcolicamente parlando- ma anche qualche nerello passatomi sotto naso. Siamo sempre più condizionati dall’associazione liquido/vitigno/zona di provenienza/etichetta. Quando beviamo un vino di Gaiole, aspettiamo di trovarci nel bicchiere un sangiovese dai frutti rossi ben definiti, maturi al punto giusto, con scheletri ossuti, ma generosi; mentre nei vini della “Muntagna” ricerchiamo finezza commisurata al calore della Trinacria. Ma quanto è importante sentire il territorio di provenienza? Sicuramente non poco dico io. E quanto può esser catastrofico l’ego di un vignaiolo che vuol mettere se stesso davanti al vino? Deleterio. Però ci sono casi sporadici, dove le mie impressioni appena riportate vengono subissate, vini che annullano definitivamente le certezze che ognuno di noi pensa di avere, vignaioli in grado di essere talmente consci del proprio sapere, da potersi permettere di superare ogni forma di impostazione. Ed ecco che ci ritroviamo nei bicchieri vini figli di un credo personale, di un’idea che guarda oltre, legati per alcuni tratti al territorio di provenienza, ma non succubi.

Eduardo Torres Acosta “Versante Nord” 2016
Nerello Mascalese 80%
Altre uve autoctone sia bianche che rosse 20%

Eduardo Torres Acosta, spagnolo di Tenerife, approdato nella magnifica Sicilia, prima in provincia di Ragusa nella cantina di Arianna Occhipinti, successivamente, forse richiamato da quei suoli vulcanici come nella sua terra d’origine, sull’Etna. Enologo dell’azienda di Andrea Franchetti a Passopisciaro, dal 2014 ha affittato dei piccoli appezzamenti sul versante nord della “Muntagna”, nelle contrade Pietramarina, Sciaranuova e Allegracore, dove esce con circa 4000 bottiglie del vino che andrò a raccontare e pochissime bottiglie di “Pirrera”, da uve provenienti dalla Contrada Sciaranuova. Quest’ultimo un vino folgorante.

Appena aperto ha sbuffi alcolici, un impostazione quasi da “vinello”. Basta una folata di vento e cambia rotta: rose fresche, agrume, lampone. Tiratissimo, con un tannino lievemente polveroso, molto allungato e disteso. Se dovessi fare un piccolo appunto, manca un po’ di presenza a centro bocca, ma gioca tutte le sue cartucce sul nervo. È un centometrista, non un lottatore di sumo.
Una delle mani più felici dell’Etna!

Tenuta di Carleone “Il Guercio” 2016
Sangiovese 100%

L’istrionico enologo inglese Sean O’Callaghan, noto ai molti per la ventennale esperienza alle redini di Riecine -un toscano adottato si può dire- ha rivoluzionato un’azienda di cui forse non conosceva l’esistenza nemmeno la proprietà: Carleone di Castiglioni, sita a Radda in Chianti. Ricordo molto bene l’ultima firma di Sean con Riecine nel 2014 e la presenza, pur di soppiatto alla Chianti Classico Collection del 2017, con il suo primo nato “Il Guercio” 2015, il quale fece rimanere di stucco molte persone.

Il vino in questione, “Il Guercio”, proviene da una vigna a 700mt nel comune di Gaiole, presa in gestione quando ancora lavorava a Riecine. Un sangiovese diverso. Una gestione dei raspi da manuale. Una dolcezza del frutto quasi stordente. Leggera nota campestre, con agrume e pepe bianco. Bocca in soffusione, stuzzicata da una volatile intelligente, con spinta. Si apre a ventaglio, riempie di succo e salivazione, che vino!!! Te ne bevi una bottiglia da solo. Sale e scheletro teso.

Domaine de l’Ecu “Les Temps des Copains” Rex 2017
70% Gamay Domaine?
30% Cabernet Sauvignon Domaine de l’Ecu

Ci troviamo nell’ultimo lembo della Loira che guarda l’oceano Atlantico, nel villaggio di Le Landreau, non distante da Nantes. Guy Bossard si è fatto conoscere con i suoi Muscadet negli anni, d’altronde la zona è quella di elezione del Melon de Bourgogne. Questo vino che abbiamo stappato fa parte di una linea denominata “Les Temps des Copians” – “Il tempo dei compagni” in cui il nuovo condottiero Fred Niger, grazie alla collaborazione con alcuni amici vignaioli, acquista le uve da varie parti della Francia e le assembla con le proprie.

Un naso che inizia sulla frutta matura spremuta, scura, prugna e mora di rovo, ricco di sapore, vitale e snello, un fiume di acidità ben integrata e mai preponderante. Dopo sa di acqua di lago e rossetto. È composto, rigoroso, ma al contempo scorrevole, ancora un filo contratto. Assaggiato un bicchiere il giorno successivo si è lievemente sporcato al palato, dove ha tirato fuori quelle spiacevoli note di frutta secca, segno di una cattiva gestione in fermentazione. Ma il vino va bevuto e non fatto avanzare!