“Ci hanno insegnato che lo champagne va bevuto a pochi mesi dal degorgement”.

 

Questa la frase più comune che normalmente si sente dire da chi ha frequentato un corso per sommelier, quando affronta la bevuta di un vino spumante.

 

Ah, i corsi per sommelier.

 

L’ho fatto anche io un corso per sommelier, per carità, ho sostenuto un esame finale e ho conseguito il titolo che volendo mi abilita alla professione. Tuttavia successivamente mi sono reso conto che almeno il 75% delle informazioni apprese erano da chiudere in un cassetto insieme a quei manuali lacunosi sui quali ci facevano studiare.
Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, perché ci sono relatori preparatissimi e davvero molto competenti, ma in linea generale di cose “astruse” ne ho sentite dire parecchie, da entrambi i lati della cattedra.

 

Lo champagne va trattato come un vino, perché di fatto lo è. La fermentazione alcolica è identica alla produzione di un normalissimo vino -vin clair- per quanto poi i passaggi successivi siano più elaborati.
Personalmente penso sia il vino più “truccato” al mondo, tanto da ristabilire le sorti di un’annata poco felice assemblando vin de reserve, arrotondando qualche spigolo con la liquer ma anche aggiustandone il tiro, con quest’ultima, intervenendo su uve non mature.

 

Esiste un modo giusto per godere a pieno e trovare quelle sfumature nascoste del nostro amato Champagne?

 

Le rotte commerciali, purtroppo, fanno sì che sul mercato si trovino degli champagne degorgiati due o tre settimane prima, e questo conduce il consumatore a valutare, come in un vino, o forse anche peggio, un prodotto “crudo”, solo all’inizio del suo ciclo vitale.

 

Acidità alle stelle, limonose, dolcezze date da liquer non amalgamata, carbonica irruenta: sono solo alcuni degli aspetti che, anziché farci godere della complessità di questo straordinario vino, ci portano a perdere per strada le sue mille imprescindibili sfumature. E poi. Quelle lunghe soste sui lieviti le quali apportano quei sentori di panificazione il più delle volte coprenti, nei primi anni di vita.

 

Non è dato sapere quando uno champagne raggiunga il massimo delle proprie possibilità espressive, ogni esemplare fa storia a sé, zona di produzioni, dosage, cuvee ecc… ecc…, ma da alcune esperienze personali fatte, mi sento di affermare che il minimo indispensabile per far ricompattare liquer, estratto, acidità, alcol, sia ALMENO 12/15 mesi dalla data del degorgement.

 

Ancora non sono riuscito a capire perché si vedono sempre pochi tappi saltati di champagne con degorgiate vecchie. Ne racconterò cinque, bevuti in una delle prime Domeniche di primavera…

 

Vigneron in costante crescita, soprattutto negli ultimi tre anni.
È il più giovane della batteria, il lavoro di autolisi sui lieviti lo interrompe quattro anni fa ed è da lì che inizia il suo percorso di maturità. Diretto, schiacciante, non le manda certo a dire. Un’acidita che trafigge, una sapidità marina, un Pinot Nero ossuto, vivace, brillante.

 

Benoît Lahaye “Blanc de Noir”
Pinot Noir 100%
degorg.2014

 

L’idea visionaria, per la regione, di David Leclapart, parte 20 anni fa, con la pratica della biodinamica, quando la champagne era tempestata da diserbanti e chimica, poi la produzione di tutte le etichette da monovitigno, da singole parcelle e singola annata.

 

I suoi vini sono a tutti gli effetti dei millesimati ma non dichiarati per una questione di stoccaggio. Per poter apporre infatti il millesimo in etichetta, la bottiglia deve sostare per un periodo minimo di 3 anni in cantina ed il vigneron, per questioni proprie, non può permetterselo.

 

L’Artiste parte male, naso vinsantoso, poi esce anice e camino spento. La bocca è leggermente più vitale, uno champagne tornato ormai vino, carbonica poco percettibile e finale amarognolo da ossidazione di profilo basso. Ritornano delle note torbate sul finale. Ha visto giorni migliori.

 

David Leclapart “L’Artiste” Extra Brut L.V00
Chardonnay 100%
Degorg. 2004

 

L’Apotre ha un avvio di legno umido e sottobosco, ma prendendo confidenza con l’aria esce il suo profilo più minerale, più gessoso, più gioviale. Ha un attacco salatissimo al palato, la carbonica accarezza, debole ma piccante al tempo stesso. La coerenza gusto olfattiva aumenta con l’aumento della temperatura nel bevante, così come la percezione di freschezza e pulizia. Bel bicchiere.

 

David Leclapart “L’Apotre” Extra Brut L.V00
Chardonnay 100%
Degorg. 2004
 

 

L’indomita energia che deve fondersi con la finezza di Cramant. Vino dal potenziale sconcertante, dove rimane difficile ancora scorgere un suo picco massimo. Ha un finale di mandorla amara, netto. Se ne avete, aspettatelo almeno un paio d’anni.

Diebolt Vallois “Fleur de Passion” 2002                                                                                                                                                                  Chardonnay 100%

 

È la cuvee storica di casa Bollinger. I passaggi della produzione, moderni per il tempo, vedevano le fermentazioni in legno, “bouchon liege” ovvero il tiraggio con il tappo di sughero, in modo tale da avere un ambiente ossido/riduttivo, lunghe maturazioni sui lieviti.
L’annata, ritenuta eccezionale per la maison (meno per l’intera champagne) ha visto diverse bottiglie rimanere nelle pupitre “sur lattes”, difatti lo chef de cave, non degorgia tutto ma buona parte permane per molti anni ancora sui propri lieviti appunto, creando l’RD.
“Tutti gli RD sono stati La Grande Année, non tutti La Grande Année saranno RD”.
Champagne aristocratico, corrisposto ad una finezza disarmante. Rimane sempre in tensione, crescente nel suo sviluppo, carbonica viva e sinuosa. Non è certo champagne d’impatto, serio e istituzionale, il tempo di prender confidenza. Si scioglie e diventa acqua di roccia e caramello salato, esce agrume e fiore bianco. Fiore bianco, si, dopo 13 anni dal degorgement. Pazzesco!

 

Bollinger “La Grande Année” 1997
65% Pinot Noir ; 35% Chardonnay
Degorg. 2005