Penso si debba aggiungere quasi nulla per quanto concerne la famiglia Gaja.
Una cosa ad oggi è certa: la staffetta dell’eccellenza sta passando in mano alla quinta generazione di questa straordinaria famiglia, ai tre figli di Angelo Gaja, responsabili di scelte aziendali molto importanti, una delle quali è il ritorno alla denominazione d’origine “Barbaresco”, dall’annata 2013, dei “vecchi” Langhe –Sorì San Lorenzo, Sorì Tildìn e Costa Russi– con il conseguente abbandono della Barbera, che vi concorreva per un 5%, per un recupero del nebbiolo nella sua esclusività.

Degustazioni come quella, ahimè, troppo presto conclusasi, tralasciando considerazioni personali sul produttore, credo possano aver tracciato un solco importante sul percorso formativo di ogni appassionato di vino che si rispetti e spero possa in qualche modo avere accresciuto non solo e non tanto la conoscenza pregressa di ciascuno di quegli appassionati, ma soprattutto la loro sensibilità e la tensione alla ricerca dei dettagli e dell’eleganza.

L’imprenditore/artigiano, così mi piace definire “le Roi du Barbaresco”, è un sovrano che osserva gli altri piccoli produttori come un surplus nella produzione e non come pedoni da eliminare dalla scacchiera. Combatte piuttosto contro la futile burocrazia che attanaglia le piccole/medie imprese, che purtroppo non possono spesso fare neanche quell’unico passo in avanti che logica e regole consentirebbero.

Produce 350.000 bottiglie quando potenzialmente, con 96 ettari di proprietà, potrebbe arrivare oltre il milione.
Non acquista uve, ma le vende.
Pensa da Re. Mantiene l’umiltà e la consapevolezza di un Pedone.

Veniamo al vino.

Sorì Tildìn e Costa Russi, sono a tutti gli effetti -parlando francese- dei lieux-dit provenienti dalla stessa collina, nel Cru Roncagliette, sito a Barbaresco. Le due vigne si differenziano per altitudine (circa 80 mt a favore del Sorì Tildin, in altezza) esposizioni e pendenze.

In cantina viaggiano di pari passo: stessa vinificazione, stesso affinamento.

I nomi -di fantasia- dati ai vini ripercorrono le memorie e la storia di questi luoghi. Tildìn è il soprannome di Clotilde, nonna di Angelo Gaja. Russi era il vecchio proprietario della vigna.

 

Gaja Barbaresco Sorì Tildìn 1988
La vitalità del colore mi porta a pensare alla svinatura effettuata prima di Natale. Trent’anni e non sentirli. Ha una bocca pazzesca. Tannini sciolti nell’acidità del vino. Uno scheletro duro e mai domo. Si scurisce leggermente al naso dopo un’oretta nel bicchiere. La frutta dice mora e prugna, cedendo il passo a china e liquirizia. Progressione e bontà.

 

 

 

Gaja Barbaresco Sorì Tildìn 1993
Meno “imponenza” palatale, corre sui binari della leggerezza, della soavità. Foglia del tè e fieno secco, un ricordo di frutto rosso dolce esce alla lunga. Vino da aprire e bere, senza se e senza ma.

 

 

ADESSO METTIAMO VICINE LE TRE COPPIE PARI ANNATA:

 

Gaja Langhe Sori Tildin 1996

Ecco la prima annata in cui Angelo Gaja decide di “staccarsi” dalla denominazione, con l’aggiunta di un 5% di Barbera.
Vino sensazionale. Frutti rossi, balsami a profusione, rosolio e grafite. Stratificazione di bocca come non sentivo da tempo, progressione e materia, una ricchezza mai sfacciata, un tannino fitto ma amalgamato alla polpa. Vino retto, dall’acidità marina, con quel frutto rosso che ritorna proprio alla fine del pranzo, scegliendo il tempo giusto. L’allungo è tutto sale grosso. Gran bella bottiglia.

 

Finestra di beva da oggi fino al completo scioglimento dei ghiacciai.

 

Gaja Langhe “Costa Russi” 1996
La scia balsamica ripercorre anche questo Russi pari annata, ma manca il grip e l’impressionante progressione del fratello. In entrata spancia lievemente di alcol, poi si distende, mostrando tannino levigato e una femminile eleganza.

 

Gaja Langhe “Sorì Tildìn” 1999
Vino dalle mille facce. Marcato da rovere e cipria durante il primo quarto, non se le scolla facilmente di dosso. Entra energico al palato, ma risulta a tratti rigido. Si sviluppa durante i vari assaggi, mostrando un carattere austero, diffidente, ma di spessore. Dal tannino lievemente rugoso, ci accompagna su un finale sorprendente di arancia rossa e pirite.

 

Gaja Langhe “Costa Russi” 1999
Ha più solarità del Tildìn pari annata. Mostra però quel carattere più “femminile”, più caldo e maturo, che preferisco meno su vini di questo tipo. Il frutto è rotondo, la spezia è dolce, così come il tannino.

 

 

Gaja Langhe “Sorì Tildin” 2000
Un seguito mentolato sembra ricalcare anche questa 2000, assieme a tratti minerali scuri. Il Tildìn meno austero della batteria (tralasciando la ‘93) dalla trama sciolta e buona freschezza.

 

Gaja Langhe “Costa Russi” 2000
Al contrario, questo Russi 2000, risulta il meno “femminile” dei suoi fratelli. Dai tratti maturi, Mon Cheri, tabacco secco, cannella. Bocca calda, dal finale lievemente amaricante.

 

 

Gaja Langhe “Costa Russi” 2004
Questo il miglior “Russi” della batteria. Ha carattere e eleganza sopraffina. Quella maturità e concentrazione eccessiva di frutto riscontrata nei precedenti, è un lontano ricordo. C’è freschezza e slancio. Bocca in equilibrio tra durezze e morbidezze. Accarezza e sussurra, come una dolce fanciulla, ma al contempo sa quando graffiare. Godibilissimo già da adesso.

 

Considerazioni finali.
cerco di valutare ogni vino che assaggio senza condizionamenti di sorta. Ho trovato una sorprendente integrità nei nove vini, sia nei colori che nello sviluppo. Chi più chi meno mi ha convinto, ma solo per un discorso personale.
Avendo vicine tre annate uguali di entrambi i vini, abbiamo potuto constatare le notevoli differenze tra i due. Tildìn più austero, più ricco e completo. Russi più femminile per certi versi, meno profondo, più caldo e maturo, eccezion fatta per la fantastica 2004.
Trovo le finestre di beva più ampie appannaggio dei “Sorì Tildìn”, mentre i “Costa Russi” non li terrei molto in cantina, potranno restare così per anni, ma senza evolvere in positivo.

 

I miei tre vini…
Sorì Tildìn 1988
Sorì Tildin 1996
Costa Russi 2004

 

Santé.