Terra ricca di fascino e segreti, di sensazioni che stimolano il tatto e l’odorato, di emozioni sfumate che diventano paesaggio definito.

Qui si entra in contatto con la ruralità in senso stretto, si incontra gente schiva non facile a concedersi.

Qui si respira un’aria agreste che non ricordo di aver mai trovato in altri miei viaggi.

Qui si vive di vino, siamo in Jura.

 

Due sono state le fasi fondamentali nel processo produttivo dei viticoltori della regione negli ultimi cinquanta anni, che ne hanno stravolto irreversibilmente il modo di pensare.

A metà degli anni Sessanta, Pierre Overnoy, considerato qui una sorta di santone, adottò metodologie decisamente poco ortodosse e meno industriali, puntando piuttosto ad esaltare l’espressione del terroir.

Visti i suoi risultati altri vigneron lo seguirono e il rinnovamento fu completato alla fine degli anni Ottanta, quando venne messo in discussione il ricorso alla totale vinificazione con botti scolme -stile ossidativo (sous voile)– proponendo anche vini bianchi non ossidativi (ouillè).

Tale controtendenza allertò personaggi come Aviet, Tissot, Rolet, che intrapresero il percorso di Overnoy portando avanti quelle idee forti per la regione, decisamente radicate in una tradizione profonda.

Vinificazioni da chardonnay in purezza, batonnage stile borgognone: questa fu la vera svolta, seppure al contempo venisse  mantenuta salda la tradizione dei vini sous voile.

L’inizio del nuovo millennio e l’avvento di giovani viticoltori ha permesso di elevare alla massima espressione le idee dei decani e di non renderle desuete, tant’è che oggi il “fermento Jura” sta prendendo sempre più campo grazie a loro, meritevoli di aver dato la possibilità al consumatore di apprezzare anche altri stili, oltre a quelli ossidativi.

 

VINI SOUS VOILE: vinificazione con botti scolme da uve savagnin e/o chardonnay

Voile

Come sappiamo bene il vino durante la sua permanenza nel legno evapora. In Jura non viene riabboccato, facendo in modo che si sviluppi un velo di lieviti e microrganismi presenti in cantina, così da proteggere lo stesso dall’ossigeno. Nell’arco di un mese il vino è completamente ricoperto da questo strato e avviene un processo chimico di ossidazione controllata, che darà il classico colore dorato/ambrato ed il sapore caratteristico. La voile non viene in tutte le cantine, ci sono comuni più vocati e altri meno.

 

VIN JAUNE: stessa vinificazione dei “sous voile”, quindi botte scolma, ma da sole uve savagnin.     Per far si che diventi Vin Jaune, deve affinare per almeno 6 anni e 3 mesi in legno.

Voile

 

CHATEAU-CHALON: Chateau-Chalon non è altro che un Vin Jaune, ma con regole molto severe da rispettare. Nel 1953 è stato formato un comitato che passa nelle vigne a controllare la sanità di esse, il potenziale alcolico e la resa parcella per parcella. Una volta superato il primo test, il vino andrà a riposare per i canonici 6 anni e 3 mesi in botte (in realtà ci viene tenuto molto di più) e prima di andare in bottiglia viene riassaggiato dalla commissione per poter affliggere il marchio tanto ambito. Se i requisiti non rispecchiano le richieste, sarà “solo” Vin Jaune.

 

 

VINI OUILLÈ: vinificazione a botte colma da uve savagnin e/o chardonnay.

 

 

Di seguito una batteria di otto vini, suddivisi per stili di vinificazione. 

 

Iniziamo con la “Cuvee Des Geologues 191″ 2014 di Aviet, trousseau in purezza, macerato appunto 191 giorni, proveniente dalla zona più vocata per il vitigno, Montigny-les-Arsures, un piccolo villaggio vicino ad Arbois.

La macerazione lo scarica di colore, ancora crudo in bocca, indecifrabile nella sua prima parte, anche se la polpa non manca.

Cassis nn propriamente maturo, poi esce fiore viola, fumo ed erbe mediche. La polpa permette al frutto di farsi più rotondo, ponendo la propria personalità davanti alle sbavature di gioventù, ma tenere in cantina.

 

Passiamo alla prima carrellata di tre vini “ouillè” con vinificazione a botte colma:

Les Bottes Rouges Arbois “Album” 2015

Ex insegnante per bambini disabili, Jean-Baptiste Menigoz si avvicina alla terra studiando per molti anni con Bénedict Tissot, baluardo della denominazione.

Non si presenta benissimo, acetica sopra le righe, leggera nota di distillato, vernice, muovendosi vira sulla pera, sul lime e melone bianco.

Bocca completamente slegata, confusionaria, acidità che non è coesa con la struttura del vino. Finale non duraturo. Me lo avevano venduto come l’antagonista di Ganevat, forse perché vicini di “casa” a Rotalier, ma il vino non lo ricorda nemmeno da lontano, peccato!

 

Didier e Jules Grappe Côte du Jura 2015

Assaggiato in un ristorante di Arbois, ne ero rimasto folgorato, tant’è che il giorno successivo eravamo a Saint Lotain, a bussare alla porta di casa Grappe.

Astenersi cuori deboli. Il vino è consigliabile scaraffarlo, se non ne avete la possibilità vi dovete sorbire per un buon 20 minuti una stanza dove centinaia di bambini scoppiano miniciccioli a raffica. Ma quando parte signori, arreggetevi!

Il naso parla di frutta bianca zuccherata, rosa bianca, pepe bianco, tutto bianco. È un vino che ti fa felice appena varca la soglia delle labbra, vibrante, energico, solare, 1 chilo e mezzo di sale marino intervallato dalla dolcezza del frutto, madonna quanto è bòno!!! Mi vergogno a dire quanto lo ho pagato. Questo è il savagnin!

 

Domaine des Cavarodes “Ostrea Virgula” 2014

Quando arrivi a Cremant e varchi quella porta in legno, ti chiedi come si possano fare lì dentro dei vini così pazzeschi. Etienne “rastaman” Thiebaud è alla sua decima vendemmia.

In apertura questo savagnin ha una leggerissima tostatura non riscontrata nelle bottiglie bevute in passato. Lo iodio è la matrice principale, ricorda addirittura l’ostrica, con glicine e agrume sullo sfondo.

Viscerale, teso, saporito, in equilibrio tra morbidezze e durezze, una leggera frizione tannica sul finale e la scodata salata che ti mette sete. Si trova difficilmente, ma appena ne vedete una bottiglia, non esitate, comprate. Anche il suo trousseau…

 

 

Proseguiamo con altri tre vini in stile ossidativo “voile”, vinificati sotto il velo (flor):

Bénedicte e Stéphane Tissot Arbois 2014  

Quarantasei ettari vitati e ben trentasei cuvee differenti per un’azienda faro dello Jura.

È arrogante al primo naso, manca delicatezza alla voile, ossidazione poco integrata. Crosta di formaggio e frutta secca. Manca la piacevolezza, la scorrevolezza, esasperata ricerca di qualcosa che non esiste. Sul finale si riprende leggermente uscendo sul dattero e non svuotandosi completamente. Ma l’eleganza non abita da queste parti. Non vedo margini di miglioramento.

 

Salvadori Côte du Jura 2012

A Chateau Chalon, Salvadori, non è la storia, anche se alcune cuvee sono da tenere sotto controllo. Operaio di Macle per diversi anni, decide di mettersi in proprio e coadiuvato dai suoi figli, coltivava 4 ettari (2 di proprietà e 2 in affitto). Quando i suoi figli decidono di seguire altre strade, lui rimane solo ed è costretto ad abbandonare i 2 ettari in affitto, rimanendo solo con quelli di proprietà.

È l’esatto opposto del precedente, voile delicatissima al limite del percettibile, tè alla pesca e camomilla, bocca fine ma che manca un po’ di profondità … guadagna spessore nel bicchiere riassaggiandolo, penalizzato, secondo me, nell’esser venuto dopo Tissot.

 

Macle Côte du Jura 2012

Domaine che nasce nel 1850 e scrive pagine importanti per la regione. Possiede per il 70% Chardonnay, il resto è savagnin, coltivati su marne blu piantati sui terreni più scoscesi di Chateau Chalon.

Inchiniamoci di fronte a cotanto splendore.

È il riferimento per le ossidazioni controllate. Zero sbavature, nervoso, ricco, denso, amaretto e prugna bianca sotto spirito, noce fresca e tocchi speziati. Vino capace di trasportarti su altri orizzonti.

 

Chiudiamo con il Domaine dell’apertura, ovvero Caveau de Bacchus -Aviet- con il suo Vin Jaune 2009.

È sempre incredibile la progressione che hanno i Jaune dopo la deglutizione, mallo di noce netto. È un ragazzo irrequieto, entra con una pseudo dolcezza, ma deve ancora svilupparsi, mostrando però già stoffa, pastoso e deciso. Nascondetelo negli anfratti delle vostre cantine.

 

È straordinaria la forza del savagnin nello scandagliare ai raggi X ogni terreno per riportare nel bicchiere l’essenza.