2  valli che corrono in asse nord-sud, rispetto al mare.
3  matrici geologiche diverse.
5  differenti tipi di clima.
33  ‘Nomeranze’ o Menzioni Geografiche Aggiuntive.
83  ettari vitati nella zona di produzione del Dolceacqua Doc.

 

Sono convinto che qualcuno di voi si sia già appuntato i numeri per correre a giocarseli sulla ruota di Genova, tuttavia suggerirei di leggere fino alla fine questo modesto contributo e chissà che non si “vinca” in più qualche notiziola interessante su una produzione che vanta notevoli ricchezze.

Degli oltre 3000 ha vitati di metà Ottocento, oggi se ne contano solo ottantatrè(!!!), incastonati come lapislazzuli nel mosaico di due valli, la Val Nervia e la Val Verbone, che in asse nord/sud, corrono nel raggio di 20 km, dalla cima del Monte Toraggio (2000mt) fino al mare. Ci troviamo in provincia di Imperia, nel versante occidentale della lunga Liguria, quasi al confine con la Francia.

Sotto il punto di vista climatico c’è da dire che, oltre all’influenza della luce e dell’altitudine, la componente di vicinanza o lontananza rispetto al mare e rispetto alle Alpi, crea una situazione tale per cui in un’areale ristretto si riscontrano cinque differenti tipi di condizioni climatiche che normalmente potremmo rilevare  in un’area compresa fra paralleli molto più distanti, approssimativamente dal Trentino Alto Adige alla Toscana.

Addentrandosi e analizzando i terreni, si può dimostrare  come coesistano tre matrici geologiche diverse, ben visibili anche ad occhio nudo.
I Flysch di Ventimiglia, localmente chiamato “sgrutto”, è figlio di un substrato roccioso e argilloso, caratterizzato da un drenaggio equilibrato.


Un’altra matrice molto diffusa nel territorio ma rilevabile in pochi vigneti, sono i “conglomerati di Monte Villa”, mix di argille e ciottoli, che ritroviamo nel cru Pian del Vescovo e, con presenza anche di ardesia, ad Alpicella.
Una variante del precedente è nota come “argille di Ortovero” o “marne blu”, che contengono una quantità di carbonato di calcio dieci volte superiore al flysch. Al posto dei ciottoli si trovano conchiglie e fossili marini, che alleggeriscono le argille bianche.

Ovviamente anche all’interno di una stessa matrice geologica si riscontrano varietà diverse, ma non è il fattore principale che determina la qualificazione di CRU in senso stretto. Il cru, per come lo intendono da queste parti, non ha una connotazione gerarchica, ma identitaria.

NOMERANZE… COSA SONO? COSA è STATO FATTO?

L’antica voce ligure che identifica un luogo di rilievo con un soprannome è detta “nomeranza”.

Le nomeranze altro non sono altro che le Menzioni Geografiche Aggiuntive (MGA), conosciute maggiormente come “Cru”. Facenti già parte del disciplinare dal 2011, ne è stato elaborato un nuovo metodo sulla base pre esistente. Il lavoro è stato portato avanti da Filippo Rondelli dell’azienda Terre Bianche, dallo storico Alessandro Giacobbe, coadiuvati dal coordinamento CIA di Claudio Andreini. Le MGA, corrispondono a particolari zone di produzione, delimitate all’interno del territorio autorizzato dal disciplinare del Rossese di Dolceacqua e rispondono a quella sacrosanta tensione a non voler fare un vino omologato, ma al contrario connotare la denominazione di tante sfaccettature.

Ci possiamo trovare dei vini di richiamo mediterraneo, con le uve provenienti da vigne poste a 50 mt di altitudine e ad 1 km dal mare, caratterizzando quindi il vino prodotto per ricchezza, esuberanza e sapidità marcata.

Al contrario una vigna a 350-400 mt di altitudine produrrà vini di stampo più continentale, assimilabili a certe zone del Piemonte, sino ad arrivare a certe sfumature che ricordano vini di montagna, più allungati nello spettro acido, con filigrana tannica più definita e diversa struttura.

LISTA DELLE 33 ‘NOMERANZE’:

  • COMUNE DI CAMPOROSSO: Brunetti, Giuncheo, Migliarina, Monte Curto, Pian del Vescovo, Terrabianca
  • COMUNE DI DOLCEACQUA: Arcagna, Armetta, Aurin, Casiglian, Morghe, Pevereli, Pozzuolo, Rosa, Ruchin, Tramontina
  • COMUNE DI PERINALDO: Alpicella, Brae, Curli, Negi, Savoia
  • COMUNE DI SAN BIAGIO DELLA CIMA: Berna, Luvaira, Novilla, Posaù
  • COMUNE DI SOLDANO: Beragna, Bramusa, Ferenghè, Fulavin, Galeae, Pini
  • COMUNE DI VALLECROSIA: Santacroce
  • COMUNE DI VENTIMIGLIA: Settecamini

 

INTRODUZIONE METODOLOGICA
• Ricerca storica approfondita suddivisa per i comuni appartenenti alla
D.O.C., trascrizione dei dati da supporto cartaceo a supporto digitale.
• Georeferenziazione a livello catastale dei dati storici ottenuti.
• Ricerca toponomastica: il censimento mostra oltre 1300 toponimi
legati a vigneti nell͛areale di produzione attuale (dati di fine
Ottocento).
• Verifica sul campo e confronto con i produttori.

 

I NUMERI DELLO STUDIO
• Tre anni di ricerche: lavoro portato avanti da Filippo Rondelli e dallo storico
Alessandro Giacobbe, coadiuvati dal coordinamento CIA Claudio Andreini.
• Materiale storico consultato sino al XII secolo.
• Oltre 20 carte topografiche storiche consultate (dal XVIII secolo ad oggi)
• Foto aeree storiche sino al 1954.
• 8000 mappali vitati censiti manualmente sui catasti del 1900, trascritti e
georeferenziati sui catasti attuali.
• Oltre 2000 livelli creati su Google Earth.

 

Come fare a non parlare del sistema di allevamento. Quello che vanta maggiore tradizione è l’alberello. Per sua fisiologia non permette all’aria di entrare e a seconda del tipo di clone, la sfogliatura è particolarmente difficoltosa perché all’eliminazione di una foglia, ne ricrescono due, tanto che  si rende necessario trattarlo più volte, con il conseguente aumento dei costi di manodopera. Per tale ragione qualche produttore ha già cambiato sistema di allevamento, passando alla spalliera mentre altri sono nella fase intermedia tra un sistema e l’altro. Si auspica che tutti usino il buonsenso laddove sia possibile, compatibilmente alle contingenze, perché il patrimonio paesaggistico subirà un indubbio cambiamento.

 

 

NOTE DI DEGUSTAZIONE:

Maccario-Dringemberg Rossese di Dolceacqua 2016
vino marcato in maniera decisa da spezie e fiori in questa annata classica per il rossese, 2016. Pepe a profusione e iris, ancora tracce vinose, ma dalle quali si divincolano fragoline di bosco e folate di agrume.
Bocca ancora in fase assestamento, caldo in entrata, acidità lievemente scomposta, non integrata alle altre componenti, è forte la nota speziata che ritroviamo anche all’assaggio. Un rossese molto goloso.

Terre Bianche Rossese di Dolceacqua 2016
già al naso sentiamo più maturità di frutto, ciliegia nera, iodio, liquirizia. è un vino più assestato del precedente e anche se ha più ricchezza e più “muscolo”, il succo avvolgente li tiene a bada e li contiene.
È quel vino che non appena deglutito sparisce, per poi ritornare, a gran voce, con una dolcezza di frutto davvero ammaliante in un finale lunghissimo. è davvero un grande entry level.

Kà Mancinè Rossese di Dolceacqua “Beragna” 2016
due le componenti nette di questo vino: il salmastro al naso e la forte salinità all’assaggio, inconfondibili.
Si esprime con voce sussurrata, parlando di rosa canina e aloe, con una leggera nota torbata sul finale.
Si allarga benissimo in bocca trovando subito la propria comfort-line, per poi fare un effetto palloncino, tornando su binari centrali e dritti, ottima silhouette, 90-60-90.

Maccario-Dringemberg Rossese di Dolceacqua superiore riserva “Posaù” Biamonti 2014
colore già meno violaceo dei precedenti.
Naso molto reticente nel concedersi, per quanto da sotto spinga una notevole carica di balsami. Ho l’impressione che gli serva tempo. Violetta, ribes nero, pesca e tè rosso.
Primo vino dove sentiamo il cambio di marcia sulla trama tannica, fittissima, ma estratta magistralmente, tanto che non inchioda il sorso, rendendo bocca stratificata, rinforzata dall’acidità che pur tagliente in questo momento, spinge in maniera decisa, rendendo questo vino salato e lunghissimo. Finale di bocca sassoso, che ricorda anche la terra rossa.

Foresti Rossese di Dolceacqua “Luvaira” 2015
Vino che si stacca dal coro. Naso di susina schiacciata e pollaio. Lasciato nel bicchiere la gallina mangia la susina e vi faccio immaginare cosa rimane. Dal naso poco invitante passiamo ad una bocca dove quello che rimane è un tannino secco ed un finale che ricorda…

Terre Bianche Rossese di Dolceacqua “Bricco Arcagna” 2015             il più indietro di tutti. Legno di sandalo, “mon cherì”, amarena fabbri. Bocca esuberante, ricca, decisa, come dev’essere un’Arcagna. Ma anche la mano del vigneron è netta, altrimenti non si spiega in un annata decisamente calda, come possa tornare un bel frutto polposo che riesce ad avvolgere la bocca e a non ingripparla. Credo se ne possa riparlare tra qualche anno, quando il legno si sarà integrato e alcuni spigoli smussati, quando verrà sicuramente definito come un’interpretazione lodevole dell’annata.

Testalonga Rossese di Dolceacqua 2010 magnum
L’emblema. La storia di Dolceacqua. Sono pochi i pigmenti coloranti nel bicchiere, ma la sua veste è luminosa e brillante. Cola, cenere, chinotto, rabarbaro, acqua di colonia, mentolo… in bocca è una carezza, la percezione della sapidità è triplicata dall’acidità, succoso e vivace, in allungo, oltre a sferzate agrumate e terrose, porta con sé tutto il corredo aromatico percepito al naso. Un vino sensazionale, ma sincero e umile, come chi lo produce. Grazie Nino!

 


Ringrazio tutti i produttori dei vini presenti sopra, i quali mi hanno ospitato in maniera meravigliosa e sono riusciti a farmi capire in 3 giorni qualcosa in più su questo magnifico territorio. Andate di corsa a Dolceacqua e assaporatene l’aria.