Laurea in tasca, zaino sulle spalle.

E’ iniziata così la mia avventura enologica in Nuova Zelanda, 18500 km dalle colline toscane e dal David di Michelangelo.

Così sono approdato nella “aotearoa” come chiamano i Maori, la terra dalle lunghe nuvole bianche. Due isole staccatesi dalla placca australiana milioni di anni fa, sommerse dal mare e poi affiorate lentamente in superficie, abitate dall’uomo per la prima volta 700 anni fa.
Un paradiso terrestre, dove l’uomo europeo è arrivato soltanto alla fine del diciannovesimo secolo, portandosi con se la cultura del vecchio Mondo tra cui ovviamente l’immancabile “Vitis Vinifera”.

Da un punto di vista enologico la Nuova Zelanda, in breve, è divisa in 7 regioni vinicole, 4 di queste ormai note da tempo: Marlborough e Central Otago nell’isola sud, Hawkes Bay e Martinborough nell’isola nord.

Giusto per dare qualche cifra nel 2016 il comparto viticolo ha fatturato 1,6 bilioni di dollari, ovvero il ventunesimo anno consecutivo di crescita del settore e sta puntando a raggiungere i 2 bilioni di dollari neozelandesi per il 2020. Si tratta di circa 210 milioni di litri di vino tra imbottigliato e sfuso diretto principalmente in USA, UK, Australia e Canada, dove il  vitigno principe è ovviamente il Sauvignon Blanc (qui chiamato secondo lo slang kiwi “Sav”) ovvero l’86% del vino prodotto all’interno di questo territorio.

Cosa approda in Italia di tutto ciò? UN GRAN BEL TROIAIO. Quello che varca gli oceani fino ad arrivare nel Bel Paese è a malincuore un mix di Glifosato in vigna e tonnellate tra lieviti e zuccheri in cantina. Qualcosa di disgustoso da un punto di vista gustativo, (dove i terpeni e l’acidità per lo più falsata chimicamente fanno da padroni), ma soprattutto ecologico poiché gran parte di queste aziende coltiva uva secondo uno stile industriale non sostenibile.

Ma non sono qui a raccontarvi di questo vitigno che ormai ha fatto conoscere la Nuova Zelanda in tutto il Mondo ma bensì di quello che non ti aspetti.. ovvero l’altra faccia del vino Neozelandese composta da piccoli produttori che combattono le 5 grandi sorelle che detengono circa l’80% del mercato del vino Nazionale. Di cosa parlo?

Pinot Nero.

Gran parte di questo vitigno è coltivato nella zona viticola più fredda della nazione (stiamo parlando dell’emisfero australe dunque tutto è rivolto al contrario) ovvero a sud,  nel Central Otago. 1915 ore di sole e circa 950-1000mm di pioggia medi annui. Qui i terreni sono moderatamente “vecchi” composti da loess ovvero particelle di argilla e silice formatisi grazie alla presenza di ghiacciai che in epoche passate hanno tritato queste rocce di scisti in polvere. Il loess è l’elemento principale della regione ma si trovano anche produttori che coltivano su suoli di tipo fluviale (ricchi in pietre e sabbie).

Beh, se volete divertirvi posso darvi qualche nome (sempre che riusciate a trovare tali bottiglie in Italia), poiché a mio avviso ci sono produttori che stanno vinificando questo vitigno con risultati stupendi dovuti a due fattori basilari come il clima e la geologia.

TOSQ 4 ha di vigneto certificati biologico di cui 3 a pinot nero e 1 a pinot grigio. Ho potuto assaggiare un campione da vasca in compagnia di Sue, la proprietaria che insieme al marito conducono l’azienda. Fermentato in tini di acciaio aperti con 100% di raspi, affinato un anno in tonneaux francesi e poi 2-3 anni in bottiglia prima di essere messo sul mercato (tappo a vite ovviamente).

Tosq -Nuova Zelanda

Note personali di degustazione: naso pulitissimo, ribes e rosa su tutti. In bocca si percepisce ancora il verde estratto probabilmente dai raspi, legno dosato perfettamente, salato. Una chiusura che denota una acidità volatile leggermente sopra i canoni. 40$ neozelandesi in cantina.

 

QUARTZ REEF 30 ha in biodinamica che come dice il nome stesso si trovano su terreni composti principalmente da quarzo e a cui si aggiungono argilla e ciottolo fine. Oltre al Pinot nero viene coltivato anche Pinot Gris, Chardonnay e Gruner Veltliner. Rudi Bauer enologo e proprietario dell’azienda è un grande appassionato di Champagne motivo per il quale da qualche anno produce anche tre metodo classico di cui il “Vintage” (che non ho ancora potuto assaggiare) il quale sosta 46 mesi sui lieviti. Per quanto riguarda il pinot nero 2014 “single vineyard” che ho potuto assaggiare, si tratta di un vino nato da un singolo vigneto piantato nel 1998 con sei differenti cloni su un terreno composto da “Waenga fine sandy loam and Letts steepland”. Ogni clone è vinificato separatamente con macerazione prefermentativa a freddo di 5-7 giorni e con una percentuale di grappolo intero. Pressato dopo 24 giorni di fermentazione + macerazione e affinato un anno in legno 28% nuovo, 33% 1 anno 43% di legni vecchi. Ovviamente FA e malolattica senza aggiunta di lieviti e batteri selezionati.

Note personali di degustazione: Naso molto concentrato, frutta rossa matura, legno ben gestito nonostante il 33% di nuovo. In bocca il tannino è già disteso, leggermente caldo, frutto maturo si riconferma. 45$ neozelandesi in enoteca.  Ah, tappo a vite.

 

FELTON ROAD circa 35 ha gestiti in biodinamica dal 2002, demeter dal 2010. Quattro vigenti che si trovano a Bannockburn, uno dei luoghi più caldi dell’intera regione, dove in generale la grande lotta contro la natura la si ha in ottobre-novembre contro le gelate primaverili. Il Pinot Nero 2016 Bannockburn che ho potuto assaggiare è stato vinificato con il 25% dei grappoli interi con lunga macerazione post fermentativa. Lieviti e batteri indigeni e 25% di legno francese nuovo, non filtrato.

Note personali di degustazione: Naso ridotto che necessita di tempo e calma, ai limiti del “naturale e del lasciamo andare”, terroso. Bocca tutt’altra storia, setoso, minerale. Ribes, con una acidità impressionante. Lungo.

65$ in enoteca. Dimenticavo, tappo a vite.

(Aggiungo inoltre da provare lo chardonnay 15 davvero, davvero eccellente).

 

CARRICK vicini di casa di Felton road, anche loro nel microclima particolare di Bannockburn. Anche essi oltre al Pinot Nero producono Chardonnay (molto borgognone) e Riesling. 25 ettari certificati biologici coltivati per lo più su terreni di tessitura scistosa. Il Pinot nero bannockburn 2014 è stato vinificato in acciaio in piccoli tini aperti con 5 giorni di macerazione a freddo prefermentativa. Durante la fermentazione vengono fatte solo follature e zero rimontaggi. Lieviti e batteri indigeni. Affinamento di 14 mesi in tonneaux nuovi per il 20% provenienti dalla Francia.

Carrick Wine – Nuova Zelanda

Note personali di degustazione: Il naso è uno tra i migliori degustati, forse pecca un po’ la nota legnosa ma non coprente ma che deve essere ancora integrata. Frutta piccola rossa, leggermente matura. La bocca è leggermente più calda rispetto al vicino felton road, più pesante forse e una acidità meno spinta. Bello però! 45$ in enoteca.

 

SATO Yoshiaki Sato e la moglie Kyoko si sono insediati in central otago dal 2006 dopo aver fatto esperienze insieme in Borgogna, Alsazia e Loria e due anni a Felton Road. Fino al 2016 hanno acquistato uve certificate biologiche che hanno successivamente vinificato e imbottigliato. Nel 2016 hanno acquistato le loro vigne piantando tre varietà a bacca nera, Pinot nero, Cabernet Franc e Gamay, due a bacca bianca, Chardonnay e Chenin Blanc. La loro filosofia di produzione è quella del non stravolgere enologicamente il prodotto finale. SO2 aggiunta in piccole dosi solo all’imbottigliamento, no a collaggi e filtrazioni. Ho potuto assaggiare il Pinot Nero 2014, praticamente introvabile anche in Nuova Zelanda.

Yoshi Sato – Nuova Zelanda

Note personali di degustazione: naso non pulitissimo inizialmente, ma esce bene alla distanza con note di frutta rossa matura, il lampone, sferzate di agrume, l’arancia rossa candita. In bocca è croccante, lungo, sapido con un finale in cui si denota una acidità volatile non bassissima, ma che tutto sommato non dispiace. 73$ in enoteca.

 

RIPPON 15 ettari a conduzione biodinamica in uno dei panorami del Mondo enoico tra i più suggestivi. Ho potuto assaggiare il “Rippon mature vine Pinot Noir 2013”, vigna situata ai confini di Roy’s bay presso il lago di Wanaka. Esposta a nord ha una composizione geologica ricca in scisti, per capirsi è una delle vigne più vecchie piantata nella regione nel 1982. Circa 25 giorni di macerazione sulle bucce prima di essere affinato 17 mesi in legni francesi di primo fino al decimo passaggio. Zero collaggi, zero filtrazioni, lieviti e batteri indigeni.

Rippon Vineyard – Nuova Zelanda

Note personali di degustazione: naso veramente alla francese, terroso, sottobosco. Ribes, polvere di cacao. In bocca mi è parso però perdere un po’ di slancio, leggermente vuoto, come se non ci fosse stata una piena maturazione in vigna. Corto. Va considerato che è il base. 55$ in enoteca.

 

Sempre parlando di Pinot nero non si può non menzionare la piccola regione di Waipara, nord del Central Otago e ad est di Christchurch, isola sud. Qui vi si coltiva inoltre Chardonnay e altre varietà aromatiche. Il clima è molto simile al vicino Otago, 2100 ore di sole e una media inferiore di pioggia annua stimata intorno ai 650 mm. Essendo una regione ancora piccola da un punto di vista enologico con vigne a “macchia di leopardo” non è possibile dare un minimo comune denominatore sulla matrice dei terreni.

Parlo di questa regione poiché a mio avviso c’è uno dei migliori Pinot nero che abbia degustato dell’intera nazione:

PYRAMID VALLEY 2 ettari divisi in 4 vigne tra Pinot nero e Chardonnay ognuna con una densità di piantagione alla francese che va dalle 10000 alle 12000 piante ad ettaro. 4 sono anche le etichette; Earth Smoke Pinot Noir, Angel Flower Pinot Noir, Lion’s Tooth Chardonnay e Field of Fire Chardonnay.

Pyramid Valley – Nuova Zelanda

Ho potuto assaggiare Earth Smoke Pinot Noir 2013, cru esposto ad ovest. Un terroir composto principalmente da argille in cui l’agricoltura biodinamica fa da regina. Diraspato a mano  In cantina  fa 27 giorni di macerazione sulle bucce prima di essere affinato in legno francese 15% nuovo e il resto di secondo, terzo e quarto passaggio.

Note personali di degustazione: naso delicato, pulitissimo con note di frutti di bosco come mirtillo, lampone poi incenso. In bocca fa da regina l’acidità, tannino setoso, ciliegia. Sapido, lunghissimo. Stupendo. Stelvin anche per loro.

(157$ ovvero circa 100€ in enoteca).

 

Nel cuore della produzione del Sauvingon blanc, nella regione di Marlborough, dove mi trovo per lavoro, c’è chi ha deciso di mettere in discussione i propri vicini di casa sfornando dei Pinot davvero intriganti. Questa è la più grande regione viticola della nazione (2/3 della produzione nazionale) dove prima della vite si coltivava aglio e frutta. Nei primi anni ottanta si è avuto il boom enologico grazie ad aziende come Cloudy Bay e Pernord Ricard. E’ la regione più soleggiata della Nuova Zelanda, 2400 ore medie di sole e 650 mm medi di pioggia annui. Il terroir è celebre per la presenza del “Greywacke” ovvero un ciottolo di colore grigio-bianco di origine fluviale che a me tanto ricorda i sassi del letto del Piave in zona Treviso. I terreni viticoli si sono sviluppati per lo più lungo il corso del fiume Wairau da cui prende il nome la valle intera, ricchi in ciottoli, sabbie e limo. L’argilla si trova per lo più sui versanti sud, specialmente nelle prime zone collinari adiacenti alla piana fluviale. Il vento (posso garantirlo per esperienza personale) è costante, proveniente in inverno da Sud e da ovest in primavera – estate. Le condizioni climatiche sono talmente favorevoli alla coltivazione della vite al punto che non sono presenti focolai di peronospora tali da poter eliminare l’uso quasi completo di rame nei trattamenti fitosanitari. Qui il principale ostacolo alla produzione di uva è semplicemente l’oidio e in rari casi un paio di insetti appartenenti alla famiglia dei lepidotteri.

TWR 11 ettari certificati in biologico per una azienda storica della regione. I loro vini a mio avviso sono la vera essenza di Marlborough, tra cui il Sauvigon e il Toru (Gewürztraminer + Pinot Grigio e Riesling) ad alti livelli. Per quanto riguarda il loro pinot nero ho potuto assaggiare il loro Twr pinot noir 2013 assemblaggio di otto differenti cloni vendemmiati a mano (cosa rara per la regione che utilizza prevalentemente vendemmiatrici) e vinificati in tini da 6 ettolitri l’uno. Nessun  collaggio e nessuna filtrazione in cantina.

Note personali di degustazione: il naso mi ha ricordato veramente la Borgogna. Pulito con un floreale piuttosto marcato rispetto al frutto. In bocca lungo, arancia candita e incenso.

 

CHURTON 22 ettari in conversione al biologico da qualche anno si trova a sud-ovest della Wairau Valley, precisamente tra Omaka e Waihopai valleys. Oltre a Pinot Nero sono coltivati Sauvignon Blanc, Viognier e mezzo ettaro di Petit Manseng. Le vigne ricordano un po’ il paesaggio collinare brullo della toscana senese, poste a 200 metri sul livello del mare esposte a nord con argilla a far da padrona nei terreni. Ho potuto assaggiare il Pinot nero 2015 di cui purtroppo non ho potuto prendere nota delle tecniche di vinificazione.

Churton – Nuova Zelanda

Note personali di degustazione: naso teso, molto pulito anche se denota una frutta lievemente matura. In bocca il legno è dosato bene anche se si denota un tannino ancora un po’ verde che dovrà terziarizzare nel tempo. Lungo, fresco. Buono. 65$ in enoteca, incredibilmente tappo in sughero.

 

MAHI 30 ettari con vigne sparse in tutta la regione di Marlborough, Brian Bicknell oltre a essere una persona tra le più gentili e intelligenti che abbia mai conosciuto è un grande “winemaker”. Formatosi da Seresin, istituzione enologica della regione, ha continuato il suo percorso come consulente in tutta la nazione fino ad approdare in Cile. Grande appassionato di Borgogna, ne sa molte sul Pinot nero. Ho potuto assaggiare il suo Pinot Nero 2015 che è il frutto del blend di tre differenti vigne vendemmiate a mano. Non tutto viene diraspato prima di essere inviato all’interno di piccoli fermentatori per una macerazione prefermentativa a freddo. Follature manuali fino a raggiungere temperature di vinificazione superiori ai trenta gradi. 18 mesi in tonneaux francesi completamente esausti.

Note personali di degustazione: naso con frutta concentrata, matura. Ciliegia e chiodi di garofano. In bocca è già pronto, disteso, lungo. Freschissimo. Ottimo. 40$ in enoteca, tappo a vite.

 

SERESIN 165 ettari, un’istituzione del vino in Nuova Zelanda, tutto condotto secondo i dettami biodinamici. Producono una lista infinita di varietà tra cui mi limito a citare un ottimo Viognier e Chardonnay prima di passare ai Pinot che ho potuto assaggiare, ovvero il Leah 2014 e il Sun and Moon 2012.  Il primo è il loro vino d’ingresso, blend di tre delle loro vigne ricche in argilla e ciottoli alluvionali di Raupo Creek, Tatou e Noa. Vendemmiato a mano è completamente diraspato prima di effettuare una macerazione prefermentativa a freddo. Una volta bruciati tutti gli zuccheri si spinge ancora per 2 settimane il contatto del liquido con le bucce, lieve pressatura e poi in tonneaux francesi con solo il 10% del totale al primo passaggio, per 11 mesi.

Note personali di degustazione: naso fine, spicca soprattutto il floreale come rosa canina. Cardamomo. In bocca è vibrante, giovane, setoso. Amo la freschezza e la beva di questo vino, che è definibile per me “de Soif”. Prezzo in cantina 35$.

Seresin – Nuova Zelanda

Per quanto riguarda il Sun and Moon stiamo parlando del loro top di gamma, selezione dei migliori grappoli del vigneto posto nella collina di Raupo Creek, Omaka Valley composti essenzialmente da argille. 100% diraspato fa una breve macerazione a freddo prima di essere follato a mano ed essere lasciato sulle bucce circa 15 giorni post-fermentazione alcolica. Pressato, è stato fatto affinare per 15 mesi in legno francese di cui il 14% al primo passaggio. Ovviamente lieviti e batteri indigeni, non collato, non  filtrato. 35$ in cantina con un bellissimo tappo a vite.

Note personali di degustazione: Il naso è molto concentrato, fuori dagli schemi rispetto a quello che ho assaggiato fino adesso. Frutta matura, amarena, pepe nero. In bocca è freschissimo, ritornano note di cacao, liquirizia e frutto rosso concentrato. Ancora il legno deve essere assimilato ma promette veramente bene. 135$ in cantina. Tappo a vite.

 

Oltre a questi due consiglio vivamente il MOMO, Pinot nero prodotto e vinificato come il fratello maggiore Leah, linea “naturale” ovvero senza aggiunte di anidride solforosa in tutto il processo di produzione se non una lieve filtrazione prima dell’imbottigliamento. 19$ in cantina.

 

OUTSIDER nel resto del paese che ho potuto assaggiare?

MILTON la Cote Pinot Noir 2015 nell’isola nord nei dintorni di Gisborne, semplice ma con una beva stupenda. 30$ in cantina.

URLAR Pinot Noir 2014 a Martinborough anche esso nell’isola nord. Lievemente maturo rispetto ai suoi compatrioti. 30$ in cantina.

Che dire.
Se volete divertirvi con i vostri amici sappiate che c’è qualcosa di interessante anche dall’altra parte del Mondo. Qua c’è tanta voglia di fare bene, ma soprattutto umiltà e tanti tappi a vite. Troppi.

Fonti:
https://www.nzwine.com/en/regions/

https://www.nzwine.com/en/news-media/statistics-reports/new-zealand-winegrowers-annual-report/

Milton Vigneto – Nuova Zelanda

Tosq – vigna innevata